Presidenziali USA 2024
TRUMP VERSO IL SECONDO MANDATO
Gli analisti ritengono che Trump adotterà uno stile transazionale ancora più imprevedibile di quanto accaduto con la precedente amministrazione, specie nel campo della politica internazionale. Cosa dobbiamo attenderci dalla prossima amministrazione statunitense
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e elezioni presidenziali statunitensi hanno visto la vittoria schiacciante di Donald Trump come 47° Presidente degli Stati Uniti, che torna alla Casa Bianca dopo il successo del 2016 e la sconfitta contro il democratico Joe Biden nel 2020. Dopo Grover Cleveland alla fine dell’Ottocento, Trump è il secondo Presidente nella storia degli Stati Uniti ad essere eletto per un secondo mandato non consecutivo. Si aggiunge poi un altro primato: per la seconda volta, Trump ha battuto una candidata donna.
Alle votazioni hanno partecipato circa 150 milioni di elettori aventi diritto (contro i 160 milioni del 2020; l'87% le circoscrizioni elettorali hanno comunicato i risultati al momento) e l’affluenza si è attestata al 62% circa (contro il 65% del 2020). La netta vittoria di Trump pone fine a una corsa alla Casa Bianca piena di colpi di scena, che ha visto il candidato repubblicano protagonista di due attentati, una condanna penale e i democratici cambiare il proprio candidato agli sgoccioli della campagna elettorale, confidando nelle possibilità della VicePresidente Harris rispetto a quelle del Presidente Bidenritiratosi dalla corsa. I sondaggi prevedevano un testa a testa tra i due candidati, in quella che si preannunciava come una battaglia all’ultimo voto che si sarebbe potuta protrarre per giorni. Così non è stato: Trump si è aggiudicato una vittoria netta, sancita non solo dal voto popolare (76,5 milioni al momento della stesura di questo articolo, mentre lo spoglio è alle ultime battute; era dal 2004, anno di G.W. Bush, che un presidente repubblicano non vinceva il voto popolare), ma anche dal successo nei sette “swing states” individuati alla vigilia delle elezioni come determinanti. In effetti, Trump ha fatto breccia in modo decisivo sia negli Stati del cosiddetto “blue wall” (Pennsylvania, Michigan, Wisconsin) sia in quelli della “sun belt” (Nevada, Arizona, North Carolina, Georgia). La vicepresidente Harris (73,9 milioni di voti al momento della stesura di questo articolo) ha riconosciuto la propria sconfitta, promettendo tuttavia di continuare a lottare per la democrazia e lo Stato di diritto ed esortando i sostenitori a non mollare. I risultati del Partito Democratico sono ben lontani dal record di 81,3 milioni di voti ottenuti da Biden nel 2020 (anche dopo aver incluso i voti mancanti della California, che ha comunque riportato solo il 59% delle preferenze elettorali).
Sono molte le possibili ragioni alla base dell’esito di queste elezioni: le difficoltà dell’amministrazione Biden; il ritardo con cui ha ritirato la candidatura a favore della Harris (o anche il fatto che Harris non abbia sufficientemente preso le distanze da Biden; le preoccupazioni legate all’inflazione e all’immigrazione. Diversi analisti sottolineano che la vittoria di Trump ha fatto appello soprattutto alle frustrazioni e alle paure legate alla perdita del potere d'acquisto e all'immigrazione clandestina, cui si aggiunge uno spostamento (non drastico, ma comunque percepibile) verso il “Grand Old Party” da parte delle minoranze.
I gruppi ispanici e la popolazione afroamericana maschile continuano a sostenere in maggioranza i Democratici. Tuttavia, solo 8 elettori su 10 hanno appoggiato Kamala Harris, un dato in calo rispetto ai circa 9 su 10 che avevano votato per Joe Biden quattro anni fa. Tra gli elettori ispanici, poco più della metà ha espresso supporto per Harris, ma anche in questo caso si registra una diminuzione rispetto al 2020, quando circa 6 su 10 si erano schierati con Biden.
La campagna elettorale di Kamala Harris ha puntato molto sul divario di genere nell’elettorato, cercando di mobilitare un vasto numero di donne a sostenere con convinzione la battaglia dei Democratici per la tutela del diritto all'aborto. Tuttavia, secondo le rilevazioni, solo il 54% delle elettrici ha votato per i Democratici, un dato al di sotto delle aspettative.
In aggiunta, Harris ha incontrato l'opposizione degli elettori arabo-americani, insoddisfatti della scelta dell'amministrazione Biden di sostenere, armare e finanziare l’occupazione di Gaza da parte di Israele.
Il Congresso si tinge di rosso
I Repubblicani si sono aggiudicati il controllo del Senato e hanno mantenuto la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, conferendo di fatto a Trump il controllo del Congresso e la possibilità di portare avanti il suo programma "America First", con l’ambizione di consolidare la posizione degli Stati Uniti come la più grande economia globale. Avere il Senato dalla sua parte faciliterà anche le nomine nel gabinetto e le nomine giudiziarie per Trump.
Il prossimo passo sarà l'incontro del Collegio elettorale, che si terrà il 17 dicembre. Durante questo incontro, i 538 membri esprimeranno il loro voto, che sarà poi ratificato dal Congresso il 6 gennaio 2025. Nel Collegio elettorale, Trump gode di un ampio vantaggio con 312 voti, contro i 226 di Kamala Harris. A 78 anni, il magnate diventerà il presidente più anziano della storia degli Stati Uniti al momento dell'insediamento. Il suo "running mate", il quarantenne senatore dell'Ohio JD Vance, sarà invece uno dei vicepresidenti più giovani del Paese.
La direzione di Trump
Con la vittoria alla presidenza e la maggioranza repubblicana al Congresso, Trump avrà probabilmente l'opportunità di attuare un programma ambizioso in ambito commerciale, sull'immigrazione e sulle tasse. In particolare, per quanto riguarda la politica fiscale, Trump aveva inizialmente sostenuto l'estensione dei tagli fiscali del 2017, anno in cui furono apportate modifiche significative alle aliquote e alle basi delle imposte sul reddito, sia per le persone fisiche che per le aziende, con una riduzione dell'aliquota massima sull'imposta sul reddito delle società dal 35% al 21%. Da allora, Trump ha ampliato le sue proposte fiscali, includendo l'eliminazione delle imposte sulle mance, sulle prestazioni sociali e sugli straordinari, nonché la rimozione del tetto massimo per la deduzione delle imposte statali e locali (SALT). Inoltre, ha espresso l'intenzione di abbassare l'imposta sulle imprese al 15%. Per compensare questi tagli fiscali, Trump ha suggerito l'idea di aumentare i dazi , con dazi globali che potrebbero variare tra il 10% e il 20%, e raggiungere il 60% su tutte le importazioni provenienti dalla Cina. Non è chiaro se Trump realmente aumenterà i dazi a questi livelli, o se stia semplicemente utilizzando queste minacce come leva negoziale. Tuttavia, ciò che appare evidente è la sua tendenza verso un protezionismo crescente, volto a incentivare le imprese a spostare la produzione negli Stati Uniti. Sul fronte della politica commerciale, Trump sostiene che il sistema commerciale globale sia manipolato a svantaggio degli Stati Uniti, contribuendo ai crescenti deficit commerciali, al declino dell'industria manifatturiera e alla delocalizzazione dei posti di lavoro americani. La piattaforma repubblicana promette di ripristinare la posizione degli Stati Uniti come "superpotenza manifatturiera mondiale" attraverso il "riequilibrio del commercio" a favore della produzione nazionale.
Per quanto riguarda la politica delle sanzioni, è probabile che l'amministrazione Trump adotti un approccio più unilaterale e transazionale rispetto a quello attuale, concentrandosi principalmente sugli obiettivi economici e dando meno rilievo ai valori politici. Trump potrebbe riprendere alcune delle strategie del primo mandato, come il ritiro dalle istituzioni multilaterali, il taglio dei finanziamenti statunitensi alle organizzazioni internazionali, l'inversione di rotta rispetto a gran parte delle politiche ambientali di Biden e l'attuazione di un'agenda sull'immigrazione che prevederebbe un aumento delle deportazioni degli immigrati irregolari. Quest'ultima mossa potrebbe avere ripercussioni sull'occupazione in settori come edilizia, sanità, agricoltura e trasformazione alimentare.
Il dossier energia
Donald Trump ha chiarito che la politica energetica degli Stati Uniti favorirà i combustibili fossili e ridimensionerà le politiche sulle energie rinnovabili. Questi cambiamenti sono considerati necessari per abbattere i costi energetici, raggiungere il “dominio energetico" e aumentare la competitività delle industrie statunitensi, annullando regolamenti esistenti e, eventualmente, ritirandosi dall'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
La svolta energetica di Trump si concentra più sulla sicurezza energetica che sul cambiamento climatico. Il neo-eletto Presidente accusa Biden di aver intrapreso una "guerra contro l'energia americana", incolpandolo dell'aumento dei costi energetici e dell'inflazione.
La campagna di Trump ha sempre enfatizzato il "ritorno" ai combustibili fossili. Durante il suo primo mandato, gli Stati Uniti sono diventati il maggiore produttore di petrolio al mondo nel 2018 e da allora sono rimasti al primo posto. Sulla base di questo risultato, Trump è favorevole ad aumentare la produzione nazionale e a riempire la riserva strategica di petrolio. Il suo obiettivo è porre fine ai ritardi del presidente Biden riguardo ai permessi di trivellazione e alle locazioni nelle terre federali, al fine di incrementare la produzione di petrolio e gas naturale. Ciò include uno sfoltimento della burocrazia e l'accelerazione delle approvazioni per i gasdotti del gas naturale.
È molto probabile che Trump si concentrerà sull'inversione delle misure introdotte dall'Inflation Reduction Act (IRA) che riguardano più da vicino il clima, e quindi risultano più polarizzanti. Tra queste, ci sono il Greenhouse Gas Reduction Fund, un fondo da 27 miliardi di dollari destinato a combattere la crisi climatica, e la nuova tassa sulle emissioni di metano, che seguirà l’aumento delle tasse sui cosiddetti “Oil and Gas assets”. Trump ha espresso una ferma opposizione a diverse iniziative legate alle energie rinnovabili, definendole inaffidabili e costose, e ha descritto le politiche energetiche di Biden come “ammazza-industria, ammazza-lavoro, pro-Cina e anti-americane”. Tuttavia, secondo diversi studi, sono gli Stati a guida repubblicana quelli che hanno tratto maggior beneficio dall’IRA, il che ha portato governatori e cittadini a valutarla più positivamente. Per questo motivo, è improbabile che un'amministrazione repubblicana faccia marcia indietro rispetto alle misure dell’IRA.
Tra i settori dell'energia e delle risorse naturali, l'industria statunitense del gas naturale liquefatto (GNL) potrebbe essere quella che trarrà maggior beneficio dall'esito delle elezioni. La vittoria di Trump potrebbe agevolare gli investimenti necessari per mantenere i prezzi globali del GNL più accessibili dopo il 2030.
Per quanto riguarda i veicoli elettrici (EV), i crediti d'imposta per i proprietari di questi mezzi potrebbero essere preservati, anche grazie al coinvolgimento di Elon Musk nella nuova amministrazione Trump. Tuttavia, alcune normative, come quelle sulle soglie di contenuto nazionale, potrebbero essere modificate per favorire i produttori statunitensi. È probabile, invece, che l’“EV mandate” (la normativa sulle emissioni di gas di scarico) venga abrogato.
Sul fronte dell’energia eolica e solare, Trump si è espresso in modo fortemente critico durante la campagna elettorale, ritenendole tecnologie troppo costose rispetto alla loro resa limitata. In particolare, si è dichiarato contrario all’energia eolica, promettendo di porre limiti allo sviluppo dell’eolico offshore, sostenendo che questo danneggia la vita marina.
In relazione agli standard di efficienza energetica, la precedente amministrazione Trump aveva proposto di eliminarli per gli elettrodomestici, ritenendoli un ostacolo alla varietà di scelta per i consumatori.
Quanto all'energia nucleare, la posizione di Trump è simile a quella dell’amministrazione Biden: sostenere i reattori nucleari attualmente in funzione e continuare a sviluppare piccoli reattori modulari.
Nonostante un possibile cambiamento nell’approccio federale, si prevede che gli sforzi statali e privati per investire nelle energie rinnovabili continueranno, evidenziando la complessa interazione tra obiettivi ambientali e interessi economici.
I fattori chiave della politica estera
Trump riproporrà con ogni probabilità il programma "America First", adottando un approccio più transazionale e riducendo il coinvolgimento degli Stati Uniti nei negoziati multilaterali. La sua politica estera privilegia il rafforzamento interno rispetto agli impegni internazionali, basandosi sull'idea che altre nazioni abbiano approfittato degli Stati Uniti in termini di sicurezza multilaterale e libero scambio. L’obiettivo è perseguire una politica estera più unilaterale, meno vincolata dalle garanzie di sicurezza offerte alla NATO e agli alleati asiatici. Durante il suo primo mandato, Trump ha criticato duramente la NATO, arrivando nel 2020 a dichiarare ai vertici europei che "la NATO è morta" e minacciando ripetutamente il ritiro degli Stati Uniti dall'Alleanza. La nuova amministrazione probabilmente insisterà affinché gli alleati statunitensi aumentino gli sforzi in ambito di sicurezza, incrementando la spesa per la difesa in rapporto al PIL (“burden sharing”), intensificando l'acquisto di armi americane e contribuendo con pagamenti aggiuntivi per le basi statunitensi all'estero. È altamente probabile che la nuova amministrazione Trump interrompa o riduca la collaborazione con numerose organizzazioni internazionali, incluso l'Accordo di Parigi sul clima. Sebbene sia improbabile un ritiro degli Stati Uniti dalla NATO, gli impegni finanziari e materiali verso l'Alleanza potrebbero subire una significativa riduzione.
Per quanto riguarda la Cina, la concorrenza tra quest’ultima e gli Stati Uniti rimane un elemento centrale del XXI secolo, come evidenziato dal programma di Trump relativo ai dazi. La strategia commerciale del futuro presidente punta non solo a ricostruire l’industria manifatturiera statunitense, ma anche a rafforzare le capacità militari e l’influenza americana nei confronti di altri Paesi, con la Cina al primo posto.
Trump ha dichiarato di voler affrontare la Cina per quello che ritiene un insieme di abusi economici: furto di proprietà intellettuale, manipolazione della valuta, sovvenzioni alle esportazioni e spionaggio economico. Ritiene necessario un approccio aggressivo per proteggere i lavoratori americani e ridurre l'ampio deficit commerciale bilaterale con la Cina. Ha inoltre promesso che le sue politiche “elimineranno completamente la dipendenza dalla Cina in tutti i settori critici”, come elettronica, acciaio e prodotti farmaceutici.
Durante il suo primo mandato, Trump ha avviato una guerra commerciale con la Cina, imponendo tariffe su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi, che ora si attestano a una media del 18%. Ha espresso l’intenzione di triplicare queste tariffe e di revocare alla Cina lo status commerciale di “nazione più favorita”, riconosciutole dagli Stati Uniti con il suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001. Inoltre, Trump aveva precedentemente dichiarato di voler implementare un piano quadriennale per eliminare gradualmente le importazioni di "beni essenziali" dalla Cina.
Per quanto riguarda Israele, Gaza e il Medio Oriente, la diplomazia regionale degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump punterà a prevenire un’escalation più ampia che coinvolga l’Iran e gli Stati arabi del Golfo, oltre a garantire un cessate il fuoco nelle guerre di Israele contro Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano. Parallelamente, l’obiettivo sarà favorire la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele. L’approccio di Trump al Medio Oriente si distingue per un deciso sostegno a Israele e all’Arabia Saudita, unito a una posizione fortemente conflittuale nei confronti dell’Iran. Gli sforzi diplomatici si concentreranno sul mediare un accordo di pace regionale, con un focus particolare sulla sconfitta di gruppi terroristici islamici come il sedicente Stato Islamico. Trump considera Israele un “prezioso alleato” ed è probabile che la sua amministrazione cerchi di rilanciare gli Accordi di Abramo del 2020.
Per quanto riguarda il conflitto Russia-Ucraina, Trump sostiene di poter risolvere rapidamente la crisi, dichiarando di non essere disposto a impegnarsi per ulteriori aiuti statunitensi all’Ucraina e sottolineando la necessità che i Paesi europei contribuiscano in misura maggiore alla questione. Pur indicando che porre fine alla guerra in Ucraina è una priorità per gli Stati Uniti, ha precisato che non accetterà condizioni imposte da Putin.
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