Relazioni
L’interdipendenza dalle materie prime critiche
La sfida che si pone all’UE per i prossimi anni è mantenere un approccio rivolto all’esterno, avvicinandosi agli USA per mitigarne le tendenze isolazioniste, e sviluppare la propria capacità industriale per ridurre la dipendenza
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a transizione energetica in corso lascia prevedere un massiccio aumento della domanda di tecnologie energetiche pulite e delle materie prime critiche (CRM, Critical Raw Material) necessarie al loro sviluppo e facilitazione. Data l’importante concentrazione della produzione delle materie prime critiche, i loro flussi sono uno dei meccanismi con cui l’impegno mondiale alla decarbonizzazione sta ridisegnando la geografia delle relazioni energetiche tra gli stati, dando vita, in termini economici e politici, a nuove opportunità ma anche a nuove vulnerabilità.
Una nuova geografia dell’interdipendenza
Secondo la Commissione europea (CE), la marcia dell’Europa verso la neutralità climatica porterà a un aumento strabiliante della domanda di materie prime critiche. Si prevede che nell’Unione europea (UE) la domanda di litio per le batterie agli ioni di litio passerà dalle 6.000 tonnellate (t) attuali alle 158.000-337.000 t, quella di cobalto da 30.000 t a 154.000-430.000 t, e la domanda di grafite naturale da 250.000 t a 470.000-3.480.000 t. La domanda degli elementi delle terre rare (REE, Rare Earths Element) necessari per le turbine eoliche e i magneti permanenti dei veicoli elettrici dovrebbe aumentare da 4.000 t a 6.200-17.100 t per il neodimio e da 200 t a 1.410-2.800 t per il disprosio. La domanda di platino, essenziale per le tecnologie legate all’idrogeno quali le celle a combustibile, potrebbe passare da 39 t a 60 t.
La “criticità” di questi materiali è dovuta alla loro importanza economica e al relativo rischio di approvvigionamento, determinato principalmente dalla dipendenza dalle importazioni e dalla concentrazione dell’offerta. L’UE importa più del 90 percento del proprio fabbisogno di litio, grafite naturale, elementi delle terre rare, platino e borati, e oltre il 70 percento di cobalto e di silicio metallico. L’offerta di queste materie prime critiche è estremamente concentrata, con la Cina in posizione di forza nelle sezioni intermedie e a valle di alcune catene del valore delle CRM. Il 52 percento delle materie lavorate per le batterie, il 41 percento di quelle per le turbine eoliche e il 50 percento di quelle per i pannelli solari sono di provenienza cinese. In questo contesto, l’UE dipende dalla Cina quasi al 100 percento per gli approvvigionamenti di elementi delle terre rare, primari e lavorati. Il dominio cinese sulle filiere di approvvigionamento delle materie prime critiche deriva in origine da obiettivi di sviluppo ambientale ed economico, ma la crescente rivalità per il potere ha trasformato l’interdipendenza dalle CRM in un’area di contestazione geopolitica.
Nuova scacchiera, nuovo gioco
Le materie prime critiche costituiscono di per sé un banco di prova per l’ “autonomia strategica aperta” che l’UE dichiaratamente si prefigge. Sebbene ancora interpretato in modi diversi nelle diverse capitali dell’UE, questo concetto è ampiamente inteso come lo sviluppo della capacità di raccogliere i benefici dell’interdipendenza limitando al contempo l’esposizione ai rischi che essa comporta. Fortunatamente per l’UE, con le materie prime critiche entrano in gioco importanti fattori di mitigazione del rischio. Sebbene a oggi la dipendenza sia alta e concentrata, le riserve di CRM sono in genere distribuite in paesi che intrattengono con l’UE relazioni istituzionalizzate e amichevoli, tra cui i paesi dell’America Latina e Australia, Canada e Sudafrica. Fatto ancor più importante è che le interruzioni delle forniture di materie prime critiche non dovrebbero avere effetti sistemici sulle economie degli importatori, perché non andrebbero ad alterare i costi operativi dei sistemi energetici implementati. Un’interruzione delle forniture di elementi delle terre rare o di litio causerebbe un improvviso aumento delle spese in conto capitale (CAPEX) dei produttori di turbine eoliche e di batterie, senza tuttavia avere alcun effetto sui costi di generazione delle turbine eoliche installate o su quelli di ricarica della flotta di veicoli elettrici in essere. Questa bassa sensibilità sistemica agli shock dell’offerta suggerisce il basso potenziale coercitivo delle manipolazioni dell’offerta di materie prime critiche.
Inoltre, per la gestione delle interdipendenze dalle CRM, l’UE dispone di strumenti più efficaci di quelli con cui gestisce le attuali interdipendenze dai combustibili fossili. Nel contesto di quest’ultima dipendenza, le pressioni dell’UE per una diversificazione che riducesse la vulnerabilità non sono, per la maggior parte, andate a buon fine. Alla mancanza di una capacità istituzionale unificata per la scelta delle fonti e dei fornitori di combustibili (capacità gelosamente protetta dall’esclusività della sovranità nazionale anche dopo il Trattato di Lisbona), si è aggiunta la discordanza tra le preferenze degli stati membri in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, e soprattutto quella tra le diverse percezioni dell’affidabilità della Russia come fornitore di gas.
Questa combinazione di fattori ha esacerbato la vulnerabilità dell’Europa ai flussi, ai prezzi e persino alle manipolazioni discorsive, come reso drammaticamente evidente dall’uso dell’energia come arma di pressione geostrategica (weaponization) da parte della Russia nel contesto della guerra all’Ucraina. Inoltre, la resistenza dei paesi fornitori ha fatto fallire anche i tentativi dell’UE di accrescere la sicurezza dell’approvvigionamento di gas con la diffusione di regole tra i fornitori attraverso iniziative multilaterali quali l’Energy Charter Treaty, gli schemi di governance regionale estesi a tutto il Mediterraneo e i dialoghi bilaterali strutturati sull’energia con i fornitori strategici. I proventi dei combustibili fossili hanno dato ai fornitori risorse di potere nei confronti dell’UE e hanno rafforzato gli interessi interni consolidati di quei fornitori che si oppongono ai tentativi dell’UE di stabilire forme di governance gerarchica esterna per il settore dell’energia. Di conseguenza, l’interdipendenza dai combustibili fossili si è rivelata uno scarso predittore dell’influenza esterna dell’UE.
Fortunatamente, l’interdipendenza dalle materie prime critiche funziona diversamente da quella dei combustibili fossili. Innanzitutto, è gestita principalmente attraverso aree di policy in cui l’UE dispone di risorse di potere notevoli in virtù del suo essere attore unificato (p.e. commercio, aiuti allo sviluppo, ricerca e innovazione). In particolare, l’UE ha sfruttato con successo i colloqui commerciali bilaterali per contrastare le restrizioni poste dai fornitori all’esportazione di materie prime critiche, e insieme a Stati Uniti e Giappone si è affidata a meccanismi multilaterali di risoluzione delle controversie per contestare le quote imposte all’esportazione degli elementi delle terre rare cinesi. In secondo luogo, le CRM sono solo una frazione minuscola delle esportazioni e dei proventi dei fornitori, e pertanto danno loro meno risorse di potere e alimentano i loro interessi locali in misura molto più limitata di quanto facciano i combustibili fossili. Tale situazione potrebbe probabilmente diminuire la resistenza (di alcuni) dei fornitori alle pressioni esercitate dai grandi importatori per la diffusione di regole. Infine, a lungo termine, il sostegno all’innovazione per la sostituzione dei materiali, l’efficienza e il riciclaggio potrà ridurre in modo sostanziale la domanda di importazione di materie prime critiche. I tassi di input per il riciclaggio a fine vita delle CRM si sono finora mantenuti significativamente bassi, dal 22 percento del cobalto allo 0 percento del litio e degli elementi delle terre rare. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, questo dipende da ragioni economiche che si attende vengano superate dall’aumento del costo delle materie prime e dalla diffusione dei prodotti finali. Quando il riciclo è l’opzione più problematica, la sostituzione dei materiali o l’adozione di tecnologie diverse, come nel caso, rispettivamente, degli elementi delle terre rare e del litio, possono essere risposte promettenti. Queste opzioni non saranno tuttavia disponibili nel breve-medio termine. Con le basse dotazioni geologiche e la limitata accettazione sociale delle attività minerarie nazionali, la principale soluzione a breve termine disponibile all’Europa per ridurre la vulnerabilità è una maggiore diversificazione dell’offerta.
La politica industriale incontra la sicurezza nazionale
Mentre i predetti fattori limitano il potenziale coercitivo delle manipolazioni della filiera di approvvigionamento delle materie prime critiche da parte dei fornitori, per l’UE i rischi maggiori derivano dai tentativi delle grandi potenze di affermare la propria sovranità nelle sezioni intermedie e a valle delle catene del valore delle CRM. Preoccupazioni distintive sono l’emergere, tra i fornitori di materie prime critiche, della Cina come fonte di governance esterna (come dimostrato dall’attivismo delle imprese statali nell’acquisizione, più o meno riuscita, di asset di CRM in paesi terzi, dall’Australia al Canada, dal Cile alla Repubblica Democratica del Congo), e l’esposizione del settore dell’energia pulita dell’UE alle potenziali ricadute dell’escalation della guerra geo-economica tra Stati Uniti e Cina.
Tale escalation potrebbe tradursi in una rottura delle filiere di approvvigionamento mondiali, situazione che solleva importanti preoccupazioni nell’UE. In termini economici, tale disaccoppiamento farebbe aumentare il costo della transizione energetica, e i colli di bottiglia della filiera di approvvigionamento e il conseguente aumento delle spese in conto capitale per gli utenti finali delle materie prime critiche hanno già spremuto i margini di profitto dei produttori europei di prodotti di energia pulita. In termini di governance, un’ondata protezionistica potrebbe minare il ruolo delle regole e delle istituzioni internazionali da cui l’UE trae gran parte delle proprie risorse di potere per garantire che i flussi delle materie prime critiche siano fluidi e basati su regole. In termini politici, la riduzione delle spese delle varie nazioni potrebbe essere d’ostacolo all’idea dei “club per il clima” in quei paesi che, condividendo i medesimi principi, sono disponibili ad approfondire in modo cooperativo l’azione per il clima, anche per garantire l’accesso a filiere di approvvigionamento sicure per le CRM.
In particolare, i decisori politici dell’UE temono la crescente tendenza degli Stati Uniti a inquadrare la resilienza della filiera di approvvigionamento delle materie prime critiche in una prospettiva di sicurezza nazionale. Il disallineamento transatlantico è già emerso nel contesto dei requisiti di contenuto locale e dei sussidi introdotti dal recente Inflation Reduction Act statunitense, che mira a scalzare il controllo della Cina sulle filiere di approvvigionamento dell’energia pulita potenziando il reshoring della capacità lungo l’intera catena del valore delle CRM. Una mossa che riecheggia (e risponde a) i decenni di attivismo dello stato cinese per lo sviluppo delle filiere dell’energia pulita. Questa situazione evidenzia un confronto geo-economico che si alimenta in gran parte di politiche industriali interventiste in cui l’Europa non è a proprio agio. Nonostante i primi tentativi di sviluppare strumenti di difesa con la politica commerciale e con forme embrionali di politica industriale, resta vincolante uno stile normativo reattivo che non prediliga soluzioni radicali.
Alla luce dei suddetti rischi, la svolta protezionistica degli Stati Uniti non è una buona notizia per l’Europa. In quanto blocco destinato all’interdipendenza dalle materie prime critiche, l’interesse dell’Europa sta nel riequilibrare e gestire le proprie relazioni minerarie con la Cina, non nel tagliarle. È tuttavia difficile che l’UE possa riuscirci da sola. Per prevenire i colli di bottiglia dell’approvvigionamento delle CRM, espandere la capacità mineraria mondiale e migliorare gli standard di trasparenza e sostenibilità nel settore estrattivo, è necessario che l’UE faccia leva sulla leadership transatlantica e sulla potenza di fuoco finanziaria. La sfida che si pone all’UE per i prossimi anni è mantenere un approccio rivolto all’esterno, avvicinandosi agli Stati Uniti per mitigarne le tendenze isolazioniste, e sviluppare al contempo tempo la propria capacità industriale (almeno nella lavorazione e nei componenti) per ridurre la dipendenza e aumentare la propria influenza esterna in materia di definizione degli standard. Qualsiasi approccio dovrà essere pragmatico e ibrido, bilanciando (e non semplicemente conciliando o integrando) una costellazione di considerazioni commerciali, normative e strategiche.