Geopolitica
L'accordo tra Israele e Libano
L’intesa sui confini marittimi raggiunta dopo anni di negoziati indiretti potrebbe segnare un nuovo capitolo della cooperazione energetica nel Mediterraneo orientale, fungendo da modello per le questioni irrisolte sui confini marittimi tra Turchia, Grecia e Cipro
10 minL’
11 ottobre 2022 il primo ministro israeliano Yair Lapid ha annunciato la stipula di uno “storico accordo” sulla delimitazione dei confini marittimi con il Libano. L’accordo è il frutto di anni di negoziati indiretti mediati dagli Stati Uniti e segna una pietra miliare nelle relazioni tra Libano e Israele, ufficialmente in guerra sin dal 1948, anno di fondazione di Israele. L’accordo ridurrà le tensioni tra i due paesi e consentirà l’esplorazione di gas naturale offshore nelle aree in precedenza contese. L’accordo attribuisce a Israele il diritto esclusivo allo sviluppo del giacimento di gas di Karish, e in cambio autorizza il Libano a concedere in licenza lo sviluppo del giacimento di Kana. Quest’ultimo si estende oltre la zona economica esclusiva (ZEE) libanese fino a entrare parzialmente in quella israeliana, pertanto il Libano dividerà i proventi del suo sfruttamento con Israele, ai sensi di un accordo aggiuntivo con la società operativa francese Total. Inoltre, nell’eventualità che in futuro si scoprano altri giacimenti travalicanti il confine marittimo tra i due paesi, Israele e Libano s’impegnano, con l’assistenza degli Stati Uniti, a giungere a un accordo sulla ripartizione dei proventi anche di tali giacimenti.
La ricerca della stabilità regionale
Fin dal 2010 è grande l’attenzione ai ritrovamenti di gas naturale offshore nel Mediterraneo orientale, alle porte del Medio Oriente, una delle regioni più incostanti e imprevedibili del mondo. Le joint venture per lo sviluppo dei giacimenti di gas naturale sono considerate foriere di effetti economici win-win e vengono presentate come nuove piattaforme di cooperazione e come potenziali game changer per una nuova architettura della sicurezza nel Mediterraneo orientale. A oggi, tuttavia, l’energia ha dato uno stimolo solo modesto alla collaborazione tra gli stati che affacciano sul mare, e ha anzi esacerbato i contrasti già esistenti sui confini marittimi, non solo tra Israele e Libano ma anche tra Turchia da un lato e Grecia e Cipro dall’altro.
Negli ultimi anni ad aggravare la situazione sono giunte anche le esplorazioni di gas turche nella ZEE della Repubblica di Cipro e in stretta prossimità delle isole greche di Kastellorizo e Creta. A Cipro la disputa sulle risorse di gas offshore ha aggiunto un ulteriore ostacolo a qualsiasi progresso nel processo di pace guidato dalle Nazioni Unite, e nell’estate 2020, a seguito delle attività di ricerca turche al largo dell’isola greca di Kastellorizo, si è persino rischiato uno scontro militare tra Grecia e Turchia.
In questi conflitti l’Unione Europea (UE) sostiene Grecia e Cipro, suoi stati membri, ma Europa sudorientale, Mediterraneo orientale e Medio Oriente possono raggiungere la stabilità regionale solo con la collaborazione della Turchia, che è tra le maggiori potenze militari della regione: collaborare con la Turchia è pertanto nell’interesse dell’UE, non solo per l’energia ma anche per la questione migratoria, quella dei cambiamenti climatici e quella della politica di sicurezza nel quadro dell’appartenenza della Turchia alla NATO. La pace e la stabilità sono condizioni necessarie ed essenziali all’accelerazione dello sfruttamento delle riserve di gas e dell’espansione delle energie rinnovabili nella regione: è pertanto fondamentale pensare a come la cooperazione nel settore energetico possa ridurre le tensioni e costruire la fiducia.
Un modello per la regione?
Sorge quindi la domanda se l’accordo mediato dagli Stati Uniti sulla definizione del confine marittimo tra Israele e Libano possa fungere da modello per le questioni irrisolte sui confini marittimi tra Turchia, Grecia e Cipro.
In un comunicato stampa il ministero degli Esteri turco ha accolto con favore l’accordo, invocando un format analogo per la risoluzione delle controversie tra le comunità cipriote sulla distribuzione dei possibili proventi delle esportazioni di gas. Questo, tuttavia, risolverebbe solo uno dei tanti conflitti interconnessi che s’intrecciano intorno alla ZEE cipriota. La Turchia mette in discussione il diritto delle isole a istituire una propria ZEE e rivendica una piattaforma continentale che si estende fino alla ZEE della Repubblica di Cipro; è inoltre l’unico stato membro delle Nazioni Unite a non riconoscere ufficialmente la Repubblica di Cipro e a contestarne il diritto di farsi rappresentare dall’ONU nei negoziati internazionali. Sorge quindi la domanda su chi potrebbe fare da mediatore. In teoria, gli Stati Uniti, in quanto potenza internazionale, sarebbero la prima scelta, ma si potrebbe anche ipotizzare un’iniziativa congiunta dei grandi stati dell’UE attivi nella regione, quali, per esempio, Germania, Francia e Italia.
Un accordo tra le parti del conflitto sul tracciato dei confini marittimi, o almeno un accordo sui diritti di estrazione e sfruttamento dei giacimenti di gas contesi, renderebbe possibili rotte alternative per il trasporto dell’energia, compresa quella turca. Il gas dei giacimenti israeliani, e forse anche di quelli ciprioti, potrebbe essere esportato in Turchia attraverso un gasdotto sottomarino che attraversi la ZEE di Cipro, con la prospettiva di abbondanti forniture alternative di gas naturale alla Turchia, che ridurrebbe così la propria dipendenza dalle importazioni russe. Cipro potrebbe sfruttare i propri giacimenti per il proprio fabbisogno di gas e al contempo per accedere al mercato internazionale dei consumi.
Condizione necessaria per tutto ciò è la disponibilità di tutte le parti del conflitto a scendere a compromessi e a collaborare. Data l’attuale situazione politica, caratterizzata dall’imminenza delle elezioni nazionali in Grecia, Turchia e Cipro, previste per il 2023, pare comunque improbabile un riavvicinamento nei prossimi mesi; anzi, c’è piuttosto da temere che con la campagna elettorale ciascuno dei tre paesi vada a enfatizzare la propria identità nazionale per contrasto con quella degli stati vicini e sfrutti l’occasione per mobilitare un elettorato a orientamento patriottico. Resta da vedere se dopo le elezioni si aprirà una finestra di opportunità per iniziative diplomatiche che trasformino gli interessi convergenti in progetti di cooperazione.
Perché la Turchia potrebbe collaborare
Il fatto che dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina anche l’economia della Turchia si trovi a soffrire per gli importanti rialzi dei prezzi dell’energia potrebbe aumentare la disponibilità del paese verso format di cooperazione nel settore energetico del Mediterraneo orientale.
Le relazioni energetiche turco-russe sono tuttora intatte e la Turchia trae vantaggio dal negare appoggio alle politiche sanzionatorie occidentali. Gran parte del consumo di gas della Turchia continua a essere coperto dalle forniture russe; nel 2021 la quota delle importazioni dalla Russia era del 44,9 percento, e di recente è addirittura raddoppiata. Per le importazioni di gas naturale liquefatto, che attualmente rappresentano il 42,5 percento circa della domanda di gas naturale del paese, la Turchia si trova ad affrontare una concorrenza mondiale e la sfida del rialzo dei prezzi delle forniture provenienti, per esempio, da Stati Uniti, Egitto e Qatar. L’aumento della popolazione e della domanda energetica dell’economia turca fanno prevedere, per i prossimi anni, una continua crescita del consumo di gas nel paese. E qui entra in gioco anche la ratifica turca dell’Accordo di Parigi, avvenuta nell’ottobre del 2021: per perseguire seriamente gli obiettivi di Parigi, la Turchia deve sviluppare una strategia di eliminazione graduale del carbone in cui il gas naturale potrebbe svolgere un ruolo importante. È interesse della Turchia diversificare le importazioni di gas naturale per il futuro, per assicurare che la sua crescente domanda di gas naturale non la porti a una maggiore dipendenza dalla Russia, e in tal senso la cooperazione commerciale con Israele e con Cipro sarebbe una base importante.
Un approccio pragmatico
Le sole considerazioni di politica energetica non bastano, perché da anni i conflitti irrisolti sulle zone economiche esclusive costituiscono un grande ostacolo alla ricerca e allo sviluppo di gas naturale offshore nel Mediterraneo orientale. Idealmente, quindi, i nuovi format di cooperazione energetica regionale dovrebbero anche creare collegamenti utili per iniziative diplomatiche e per la mediazione dei conflitti, e sarebbe auspicabile che i negoziati di fondo esplorassero la possibilità di una produzione congiunta dei giacimenti di gas israeliani e ciprioti per la vendita sul mercato turco. Sarebbe allora il caso di imparare dall’accordo sul confine marittimo tra Israele e Libano e discutere con Turchia, Grecia e Cipro su come mettere in atto un approccio analogo, con una visione pragmatica e una buona dose di pensiero fuori dagli schemi. A tal proposito è essenziale individuare l’attore più adatto per i negoziati indiretti: in teoria, gli Stati Uniti sarebbero la prima scelta, per il loro status di potenza internazionale e per la loro competenza regionale, ma si potrebbe anche ipotizzare un’iniziativa congiunta dei grandi Stati dell’UE attivamente coinvolti nella regione, quali, per esempio, Germania, Francia e Italia.