Dalle parole ai fattidi Antonio Andreoni
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Clima

Dalle parole ai fatti

di Antonio Andreoni

È ora di verificare come la politica industriale verde può orientare la tecnologia e dar forma alla transizione energetica

14 min

I

l cambiamento climatico è tra le questioni più urgenti del nostro tempo. L’ultimo rapporto dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC), del 2022, indica che i contributi determinati a livello nazionale (NDC, Nationally Determined Contribution) precedenti alla COP26 sono verisimilmente insufficienti a contenere l’aumento della temperatura entro gli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Di fatto, se non si procederà a rafforzare le attuali politiche climatiche, entro il 2100 il riscaldamento globale medio potrebbe raggiungere i 3,2°C. Nella sua roadmap verso lo “zero netto al 2050”, anche l’International Energy Agency (IEA) sottolinea la necessità di una drastica accelerazione e di ingenti investimenti finanziari nella transizione energetica. Mentre la comunità mondiale discute del cambiamento climatico e del rischio che arrivi al punto di non ritorno, l’impatto del fenomeno su paesi, gruppi sociali, industrie e luoghi si fa sempre più forte, molteplice e asimmetrico. All’interno delle singole nazioni e tra i diversi paesi aumentano le diseguaglianze conseguenti al­l’ampiezza dell’impatto dei cambiamenti climatici, con i paesi più vulnerabili a pagare il prezzo più alto.

 

 

Le politiche dell’Unione europea

Nel 2019 la Commissione europea ha presentato l’European Green Deal (EGD) come strategia di punta dell’azione dell’Unione europea (UE) per il clima. L’EGD, insieme con la Normativa europea sul clima e il pacchetto Fit–for-55, impegna l’Ue a una riduzione netta dei gas serra del 55 percento entro il 2030 e al conseguimento della neutralità climatica al 2050. L’EGD prevede azioni in diverse aree interdipendenti, tra cui produzione energetica, trasporti, agricoltura, edilizia, finanza e innovazione. A supportare l’EGD, nel contrasto dei rischi posti al sistema energetico europeo dall’invasione russa dell’Ucraina, è di recente intervenuto il piano REPower Europe, pubblicato nel maggio 2022, che mira a I) aumentare il risparmio energetico, II) diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, III) accelerare la sostituzione dei combustibili fossili con fonti di energia rinnovabile, IV) promuovere investimenti e riforme intelligenti quali il miglioramento delle infrastrutture di rete e della connessione tra i paesi europei. Il REPower Europe impone inoltre agli stati membri di rivedere ciascuno il proprio Piano di ripresa e il proprio Piano nazionale per l’energia e il clima.

Queste misure derivano dalla crescente consapevolezza del fatto che i mercati da soli non riescono ad internalizzare i costi ambientali né a guidare le economie verso la tanto necessaria transizione energetica e industriale su scala e velocità più opportune. Anche le politiche di fixing dei mercati, quali la tariffazione del carbonio, si sono dimostrate di per sé incapaci di risolvere la più pressante delle sfide economico-politiche che paesi e regioni si trovano a dover affrontare, cioè la ristrutturazione dei settori industriali verso nuovi modelli di prosperità sostenibile. Concentrarsi sul lato dell’offerta significa aprire per gli incumbent (imprese e lavoratori) percorsi praticabili verso nuovi modelli produttivi, tecnologici e organizzativi, percorsi che devono favorire e indirizzare i nuovi green entrant e al contempo gestire l’uscita delle imprese brown (basate sui combustibili fossili) da determinati settori e paradigmi tecnologici. Nella maggioranza dei casi, per trasformare le imprese brown in imprese green servirà una profonda ristrutturazione industriale.

Da questo punto di vista, la transizione energetica è il wicked problem per eccellenza, la cui soluzione necessita interventi coordinati e mirati, con la gestione di trade-off complessi, sia statici sia dinamici, e l’avanzamento di un nuovo contratto sociale sostenibile e inclusivo. Una politica industriale verde può dare un quadro e degli strumenti pratici utili ad affrontare alcune delle sfide fondamentali della transizione energetica, in Europa e oltre l’Europa. In particolare, una politica industriale verde può contribuire a indirizzare, accelerare e coordinare la ristrutturazione di settori altamente eterogenei e basati sul territorio, compreso il sistema energetico. Ogni settore (e le sue imprese) è parte di un ecosistema industriale complesso che comprende attività di produzione e di consumo e attività tecnologiche interdipendenti che si estendono in lungo e in largo attraverso le catene del valore regionali e mondiali. Le decisioni su queste attività e il loro impatto sui cambiamenti climatici sono interdipendenti, e tuttavia la dispersione e il disallineamento di interessi, potere e proprietà rendono quasi impossibili decisioni coordinate tra gli attori.

 

la fotoChongqing, Cina. Cablaggio tratto Chongqing della linea di trasmissione della corrente continua a tensione ultra-alta di 800 kv Baihetan-Zhejiang
 

 

Il ruolo chiave dello Stato

Storicamente, in tutte le odierne economie avanzate lo stato ha sempre avuto un ruolo chiave nell’affrontare le sfide delle trasformazioni strutturali, con l’adozione di diverse politiche industriali. Oltre a procedere al fixing dei mercati, lo stato può avere anche una funzione chiave di coordinamento intertemporale e spaziale, a diversi livelli di governance. Lo stato può rimodellare le industrie, allineare gli incentivi tra istituzioni e organizzazioni, costruire coalizioni di interessi e fornire innovazione tecnologica e organizzativa dalla direzionalità definita. Questo non significa necessariamente preselezionare alcuni percorsi tecnologici escludendone altri, né significa limitare l’iniziativa del settore privato. Al contrario, lo stato può orientare la ricerca di soluzioni sia settoriali sia intersettoriali, ridurre i rischi degli sforzi di sperimentazione e innovazione, procedere al crowding-in degli investimenti privati impegnando risorse in investimenti infrastrutturali o creando domanda tramite appalti, promuovere la concorrenza tra soluzioni alternative, e consentire l’assorbimento e la diffusione delle tecnologie innovative più adatte.

 

Dal 2009, il drastico calo del costo dell’elettricità da fonti rinnovabili (solare fotovoltaico ed eolico, on-shore in particolare) indica una via praticabile per accelerare la transizione energetica; il drastico cambiamento nei prezzi e l’apertura di nuove finestre di opportunità verdi si devono alle curve di apprendimento ripide associate alle tecnologie delle rinnovabili e alla loro sempre maggiore capacità installata. Un ruolo importante stanno avendo anche gli investimenti complementari e i progressi nelle infrastrutture energetiche abilitate al digitale (il cosiddetto gemello digitale verde). Inoltre, l’idrogeno verde è visto sempre più come un’alternativa fattibile per sostituire i combustibili fossili (soprattutto nei settori ad alta intensità energetica e hard to abate, quali siderurgia, metallurgia, cemento e prodotti chimici), come anche i combustibili liquidi per il trasporto pesante. Prevedendo, in base a ragionevoli aspettative sulla tassazione del carbonio, che nel prossimo decennio l’idrogeno verde possa diventare competitivo rispetto ai combustibili fossili per le industrie pesanti, la competitività futura dell’industria dipende dalle decisioni che prendiamo oggi.

 

L’innovazione e la diffusione delle tecnologie verdi non vanno considerate solo dalla prospettiva dell’offerta: queste tecnologie sono infatti le fonti maggiori della nuova domanda intermedia e finale di prodotti e servizi verdi e possono indurre investimenti e creazione di posti di lavoro. A livello mondiale, nel 2019 il solo settore energetico impiegava oltre 65 milioni di persone, di cui più del 50 percento in attività legate all’energia pulita, quali la produzione di tecnologie solari ed eoliche (7,8 milioni) e la produzione di veicoli elettrici (13,6 milioni) (fonte IEA, 2022). Il principale motore di questo aumento improvviso di posti di lavoro verdi consiste nei nuovi progetti di energia pulita, soprattutto in Cina; riqualificare i lavoratori e creare posti di lavoro nel settore energetico con investimenti legati a politiche industriali verdi è essenziale per accelerare la transizione verso l’energia verde.

 

la fotoComplesso di South Beach progettato dall’architetto britannico Norman Foster a Singapore 

 

Questi molteplici obiettivi possono conseguirsi ricorrendo a diversi strumenti e pacchetti di politiche industriali, tra cui finanza pubblica e appalti pubblici, con la definizione di standard verdi e rendendo disponibili servizi tecnologici lungo tutta la catena di innovazione/produzione, dalla ricerca di base al pieno utilizzo e alla diffusione delle nuove tecnologie. Si pone spesso l’accento sul quantum finanziario, ma il problema principale è la direzione data agli investimenti finanziari e quanto mirato sia il modo di affrontare il gap finanziario. In effetti, la finanza pubblica non è importante solo in termini di creazione di un portafoglio di soluzioni innovative praticabili e di crowding-in degli investitori privati, ma è d’importanza cruciale per affrontare i problemi associati a un’espansione, utilizzo e diffusione efficaci delle nuove tecnologie. Anche gli appalti pubblici possono avere un ruolo centrale nella transizione energetica, e possono svolgere diverse funzioni. Per esempio, possono creare (o aumentare) la domanda di prodotti (beni e servizi) e tecnologie emergenti, e possono anche essere progettati attorno a problemi e soluzioni, cioè essere appalti funzionali, cosa già contemplata dall’UE, anche se poco praticata.

Lo Stato può inoltre istituire standard e requisiti normativi (p.e. su emissioni, obiettivi di prestazione, intensità energetica) per la produzione e l’utilizzo di nuovi beni e tecnologie. La definizione di standard normativi è d’importanza cruciale: può servire a modellare i mercati e l’industria emergenti e a coordinare innovazione e investimenti tecnologici, allontanando la concorrenza dalle aree in cui il coordinamento industriale offre risultati migliori. Anche i servizi tecnologici e l’accesso alle infratecnologie tramite enti quali gli istituti Fraunhofer in Germania e gli schemi di ampliamento della produzione rivestono grande importanza per il potenziamento di un sistema energetico decentralizzato e più resiliente, oltre che per l’adozione di processi e tecnologie di produzione sostenibili da parte di piccole e medie imprese.

 

 

Puntare sulle condizionalità tra pubblico e privato

Nella progettazione di questi strumenti di politica industriale verde, uno stato imprenditorial-normativo può fare affidamento su condizionalità di vario tipo che riflettono i rischi e i benefici associati alla transizione verso l’energia verde. Queste condizionalità possono operare ex-ante, con la fissazione di vari requisiti in merito alle tipologie d’impresa che possono accedere agli incentivi, oppure selezionando le tipologie di attività supportate; possono operare anche ex-post, definendo requisiti specifici sulle prestazioni future delle imprese o sulle decisioni di corporate governance (p.e. limitazione del buy back azionario e della distribuzione dei dividendi). Imporre condizionalità a politiche quali quelle su finanza e appalti, ma anche al bailout delle società, agli schemi di attrazione degli investimenti, alle ristrutturazioni aziendali, ecc., non è più tabù; le esperienze internazionali di Austria e Francia, durante la pandemia di Covid-19, attestano proprio queste condizionalità tra pubblico e privato. Le condizionalità sono un modo per orientare strategicamente le risorse finanziarie e assicurare che siano trattenute e reinvestite all'interno delle organizzazioni di imprese produttive per il conseguimento degli auspicabili risultati sociali, economici e ambientali.

 

Questo approccio strategico alla politica industriale verde va ben oltre le politiche di innovazione non orientate all’intervento che sono prevalse nell’Europa degli ultimi vent’anni, almeno fino alla pandemia di Covid-19 e all’accelerazione della crisi climatica ed energetica. Una delle principali lezioni apprese durante la pandemia è che un governo dalle capacità limitate non può mettere in atto gli interventi mirati e coordinati che sono invece necessari in caso di eventi estremi quali la pandemia e i cambiamenti climatici. Ricostruire la capacità dello stato di pensare, progettare e porre in atto strumenti di politica industriale è già di per sé una politica industriale quanto mai necessaria, soprattutto per quelle regioni e quei paesi periferici dell’Europa che devono imparare o re-imparare come utilizzare le politiche industriali per affrontare il sovrapporsi e l’urgenza delle crisi che caratterizzano il nostro secolo. Per superare i cambiamenti climatici e mitigarne il drammatico impatto su società e nazioni è essenziale abbandonare l’attuale e insostenibile modello economico incentrato sui combustibili fossili. È ora di passare dalle parole ai fatti.