Il futuro degli idrocarburidi James Henderson
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Scenari

Il futuro degli idrocarburi

di James Henderson

L’Artico potrebbe diventare un’importante fonte di approvvigionamento di petrolio e gas, ma per tradurre in atto il suo potenziale è necessario affrontare una serie di sfide: dal clima ai costi all’impatto ambientale. Cresce anche l’attenzione sui minerali critici

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I

l ruolo dell’Artico nell’approvvigionamento globale di petrolio nei prossimi decenni è un tema di grande interesse, con la ricchezza geologica della regione, il progressivo scioglimento della calotta polare e le possibili tensioni geopolitiche che emergono come fattori chiave. Tuttavia, permangono forti preoccupazioni, soprattutto per il possibile impatto delle attività di esplorazione e produzione di idrocarburi in un’area ecologicamente fragile. Inoltre, ad oggi l’Artico manca di infrastrutture e il costo di qualsiasi operazione di sviluppo in una regione così remota e dalle condizioni climatiche tanto aspre è con ogni probabilità molto elevato: ciò significa che l’aspetto economico di qualsiasi nuovo progetto dipenderà in larga misura dall’entità delle scoperte e dal prezzo del petrolio, il quale a sua volta sarà condizionato dallo sviluppo di altre fonti di approvvigionamento petrolifero (per esempio, il petrolio non convenzionale statunitense) e di fonti alternative di energia priva di emissioni di carbonio. Negli ultimi anni, l’aumentata attività di diversi paesi artici sembra indicare la possibilità che in futuro la regione diventi un’importante fonte di approvvigionamento di petrolio, ma per tradurre in atto il potenziale dell’Artico è necessario affrontare una serie di sfide, tra cui, oltre a quanto sopra, l’impatto delle sanzioni dovute alla guerra in Ucraina.

 

 

Un grande potenziale

Nella regione artica lo sfruttamento di petrolio e gas non è certo una novità. A partire dagli anni Sessanta la regione ha prodotto quantità notevoli di petrolio, soprattutto in Russia (Repubblica dei Komi e Circondario autonomo dei Nenec) e in Alaska, dove si trova il giacimento di Prudhoe Bay, il più grande degli Stati Uniti, stimato in 25 miliardi di barili. Finora, tuttavia, nell’Artico l’attività è stata principalmente onshore, mentre ora l’esplorazione si concentra sul potenziale di sviluppo offshore su larga scala. La Norvegia è ormai il terzo attore chiave, grazie alle numerose licenze nel Mare di Barents e alla produzione che ricava da due (presto tre) grandi giacimenti.

 

 

Nel 2008 la United States Geological Survey (USGS) ha pubblicato una valutazione completa delle potenziali riserve di idrocarburi dell’intera area a nord del Circolo polare artico, giungendo alla conclusione che le vaste piattaforme continentali artiche potrebbero costituire la più grande area petrolifera ancora non sfruttata sul pianeta. Secondo la valutazione, le risorse dell’Artico rappresentano circa il 22 percento delle risorse mondiali di petrolio e gas tecnicamente recuperabili non ancora scoperte, con il 13 percento di petrolio non ancora scoperto, il 30 percento di gas naturale non ancora scoperto e il 20 percento di gas naturale liquido non ancora scoperto. Ciò significa circa 90 miliardi di barili di petrolio ancora non scoperto e tecnicamente recuperabile, 1.670 migliaia di miliardi di piedi cubi (cioè 47 migliaia di miliardi di metri cubi) di gas naturale tecnicamente recuperabile e 44 miliardi di barili di gas naturale liquido tecnicamente recuperabile, in 25 aree geologicamente definite a nord del Circolo polare artico le quali si ritiene abbiano un potenziale in idrocarburi (figura 1). Si stima che circa l’84 percento di queste risorse sia offshore.

 

Secondo le stime dell’USGS il gas rappresenta la quota maggiore (circa il 70 percento) della base di risorse recuperabili e si trova per la maggior parte nella Siberia occidentale e nella parte orientale del Mare di Barents. La maggioranza del petrolio si trova nella parte artica dell’Alaska, verso il Polo Nord e nella Groenlandia orientale.

 

La ripartizione per paese mostra che la quota di gran lunga maggiore delle risorse artiche si trova in Russia. La sola piattaforma siberiana occidentale contiene il 32 percento dei 412 miliardi di barili di petrolio equivalente di risorse artiche, mentre le altre regioni artiche della Russia ne rappresentano un altro 26 percento, il che significa che la quota complessiva del paese è del 58 percento. Del restante 42 percento, all’incirca il 18 si trova in Alaska e il 12 in Groenlandia, mentre il restante 12 percento è diviso tra gli altri paesi della regione artica, Norvegia compresa. È opportuno ricordare che i metodi di valutazione si basano su assunti geologici cui consegue un alto grado d’incertezza. Secondo l’USGS, infatti, la difficoltà maggiore è proprio la mancanza di informazioni, poiché per alcune aree i dati sono quasi inesistenti. La valutazione si basa pertanto in parte su parallelismi con aree geologiche analoghe ubicate in altre parti del mondo.

 

la fotoSecondo le stime dell’USGS, il gas rappresenta circa il 70% delle risorse recuperabili nell’Artico e si trova per la maggior parte nella Siberia occidentale e nella parte orientale del Mare di Barents. Il petrolio si trova prevalentemente nella parte artica dell’Alaska, verso il Polo Nord e nella Groenlandia orientale

 

Oltre tre quarti di queste risorse si trovano offshore nelle acque territoriali dei cinque stati costieri del Mare Artico, cioè Stati Uniti, Canada, Russia, Norvegia e Groenlandia, i primi quattro dei quali già sono importanti produttori di petrolio. Il cambiamento climatico sta riducendo sia lo spessore sia l’estensione dei ghiacci: di conseguenza, aumenta sempre più l’accessibilità di queste risorse e si aprono nuove opportunità di sviluppo industriale e di trasporto verso i mercati mondiali, per esempio lungo la Northern Sea Route.

 

Nonostante il cambiamento delle temperature in tutto il mondo, nell’Artico la produzione offshore risulterà comunque molto più costosa che nella maggior parte delle altre regioni petrolifere, e ciò a causa dell’asprezza delle condizioni climatiche, caratterizzate da temperature che scendono fino a 50 gradi Celsius sotto zero, un’ampia copertura di ghiaccio che perdura per gran parte dell’anno, la quasi totale mancanza di luce durante l’inverno e, infine, per le lunghe distanze dalla terraferma. Significa che per sostenere i costi di sviluppo, necessariamente elevati, servono scoperte di diversi miliardi di barili e un prezzo del petrolio alto. In diversi settori potrebbero rendersi necessarie innovazioni tecnologiche, e per il buon esito di progetti e sviluppi serviranno necessariamente sostegno politico (specialmente in termini fiscali) e un’ampia cooperazione tra gli stati artici. Al contempo, i rischi ambientali e l’opposizione popolare alle attività di Oil&gas nell’Artico potrebbero minare lo sviluppo degli idrocarburi, soprattutto perché è chiaro che la necessità di prepararsi ad affrontare possibili fuoriuscite petrolifere e operazioni di ricerca e soccorso pone sfide ambientali enormi. Inoltre, per quanto sia alta la probabilità di trovare gas naturale in molti dei bacini artici, la sua eventuale scoperta imporrebbe la necessità di superare importanti difficoltà infrastrutturali, aumentando ulteriormente i rischi dell’esplorazione.

 

 

Prospettive di sviluppo degli Stati costieri

I cinque principali stati costieri possono essere divisi in due gruppi secondo le loro diverse prospettive di sviluppo degli idrocarburi. Canada, Groenlandia e Stati Uniti hanno vietato, in toto o in parte, l’esplorazione di idrocarburi nell’Artico, per motivi ambientali, e nei primi due pare poco probabile una ripresa dell’attività, salvo in caso di un radicale cambiamento politico. Nel 2016 il governo canadese ha sospeso a tempo indeterminato l’assegnazione di nuove licenze Oil&gas nell’Artico canadese e, per quanto soggetto a riesame quinquennale, il divieto è stato di recente esteso fino alla fine degli anni 2020 e ampliato a includere qualsiasi tipo di attività oil & gas in acque canadesi. Nel 2021 il governo della Groenlandia ha vietato in toto le esplorazioni di petrolio e gas nel paese, per quanto le esplorazioni precedenti non avessero dato molte speranze circa possibili scoperte commerciali. Gli Stati Uniti potrebbero rivelarsi un’eccezione, poiché, sebbene il presidente Obama abbia vietato in via permanente le trivellazioni Oil&gas offshore nella maggioranza delle acque territoriali del nord degli Stati Uniti, decisione riconfermata dall’amministrazione Biden nel 2025, la nuova amministrazione Trump potrebbe dare qualche speranza alle compagnie Oil&gas. Tra i primi annunci politici della Casa Bianca nel secondo mandato di Trump vi è quello del piano Unleashing Alaska’s Extraordinary Resource Potential (Liberare lo straordinario potenziale di risorse dell’Alaska), comprendente piani per accelerare l’assegnazione delle licenze, la locazione e lo sfruttamento delle enormi risorse di gas della regione. È pertanto probabile che nei prossimi anni si abbia un aumento delle attività di esplorazione e produzione.

 

 

Il secondo gruppo è costituito da Norvegia e Russia, che mostrano maggior coerenza nel sostenere e spronare l’esplorazione e lo sviluppo degli idrocarburi nell’Artico. In particolare, via via che le sue altre regioni offshore raggiungono la maturità, la Norvegia vede nel Mare di Barents una fonte di futura crescita, e i recenti cicli di assegnazione delle licenze indicano l’ampio interesse del settore per quest’area. Sono già due i campi produttivi: Snohvit, con l’associato impianto GNL, e Goliat, che produce petrolio, e un terzo campo, Johan Castberg, dovrebbe iniziare a produrre dalle sue riserve di petrolio, di circa 500 milioni di barili, nel primo trimestre del 2025. È inoltre in preparazione lo sviluppo del campo Wisting, con i suoi 500 milioni di barili, e numerose sono le nuove scoperte. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, la necessità per la Norvegia di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas all’Europa ha stimolato anche investimenti più a lungo termine nella regione, e negli ultimi tre cicli di assegnazione delle licenze (i processi di gara Awards in Predefined Areas - APA del 2022, 2023 e 2024), il governo norvegese ha offerto più di 100 nuove aree di licenza nel Mare di Barents, di cui undici sono state assegnati a società d’esplorazione, gettando le basi per la futura produzione nella regione.

 

 

Un collegamento tra lo sviluppo norvegese e quello russo nell’Artico era sembrato possibile nel 2011, quando i due paesi avevano posto fine alla disputa sulla linea di confine nel Mare di Barents e si erano ventilati accordi di partenariato per l’esplorazione petrolifera. Tuttavia, l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina hanno posto fine alle speranze di collaborazione e la Russia è stata lasciata a perseguire da sola le sue ambizioni artiche. Il presidente Putin considera la regione un’importante risorsa geopolitica per la Russia e incentiva lo sviluppo dell’industria degli idrocarburi al fine costruire le fondamenta infrastrutturali e aprire la via di trasporto dei mari del Nord. Nella propria regione artica, la Russia ha molti giacimenti produttivi onshore (soprattutto di gas), tra cui lo Yurkharovskoye, che alimenta l’importante impianto di GNL di Yamal, e due giacimenti petroliferi offshore, il Prirazlomnoye e il Novoportovskoye, che esportano greggio nei mercati mondiali. Vi sono poi anche altre scoperte in attesa di sviluppo, e in diverse località si costruiscono infrastrutture portuali per espandere l’esportazione verso i mercati europei e asiatici. Dal 2014 i progressi sono drasticamente rallentati a causa del ritiro degli investimenti internazionali e delle sanzioni imposte; ne sono conseguiti ritardi, come quelli nel progetto Arctic LNG-2 (il caso più recente), ma non c’è dubbio che il Cremlino consideri un ulteriore sviluppo delle proprie enormi riserve artiche di petrolio e gas un punto cardine della propria politica energetica ed estera.

 

 

I minerali critici nell’Artico

Oltre al petrolio e gas, la Russia auspica di poter sfruttare anche altre risorse minerarie che possano portarle entrate e alimentare la sua influenza politica via via che il mondo avanza nella transizione energetica. Ma la Russia non è l’unica a nutrire tale aspirazione: anche Canada e Stati Uniti manifestano interesse per lo sviluppo delle proprie risorse minerarie critiche, ed è per questo stesso motivo che gli Stati Uniti affermano il proprio interesse per la Groenlandia. Attualmente la regione artica produce il 44 percento del palladio, il 13 percento del platino e l’11 percento del nichel mondiali, e i principali fornitori sono Russia e Canada. L’Artico ha anche importanti riserve di terre rare, vanadio, argento, rame e altri minerali che l’aumentare della necessità di tecnologie verdi renderà sempre più importanti e necessari.  Cresce di conseguenza l’interesse geopolitico per l’area: i diversi paesi cercano infatti di garantirsi filiere di approvvigionamento sicure e di sviluppare un vantaggio competitivo, o almeno di ridurre i rischi di approvvigionamento di queste risorse chiave. È ancora troppo presto per dire con quale rapidità progrediranno le esplorazioni e quanto successo avranno dal punto di vista commerciale, ma non c’è dubbio che la presenza di questi minerali essenziali aumenti l’interesse per le risorse della regione artica.

 

 

Un futuro incerto

Le risorse di idrocarburi nell’Artico sono enormi ma il loro sfruttamento è reso difficile dalle condizioni climatiche, dalla posizione geograficamente remota e dai rischi ambientali. Attualmente, in due paesi vige il divieto assoluto di esplorazione, ma uno di essi (gli Stati Uniti) sta riconsiderando la propria posizione, mentre due paesi (Norvegia e Russia) sono attivamente impegnati nell’esplorazione e nella produzione. I timori sulla sicurezza degli approvvigionamenti incentivano ulteriori sviluppi nella regione, ma resta da valutare la giustificazione economica degli alti costi dei progetti a fronte della loro lunga durata e della potenziale riduzione della domanda di petrolio e gas che la transizione energetica dovrebbe indurre dal 2030. Potrebbe anche accadere che l’interesse per le risorse minerarie critiche dell’Artico diventi ancor più forte e porti dunque a una maggiore attenzione geopolitica verso la regione, data la necessità per i vari paesi di garantire la sicurezza delle filiere di approvvigionamento per quelle risorse che saranno essenziali per lo sviluppo delle tecnologie verdi.