Un nuovo attore sulla scena globale
Una potenza in bilico
Se saprà superare le divisioni interne e definire una strategia internazionale coerente, L’INDIA potrebbe finalmente conquistare un ruolo centrale nel mondo
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l 2024 sarà ricordato come l’anno delle grandi elezioni globali. Tra i protagonisti c’è l’India, “la più grande democrazia del mondo”, come retoricamente si definisce, dove Narendra Modi ha conquistato il suo terzo mandato come premier. Tuttavia, il leader del BJP ha dovuto fare i conti con un calo significativo del consenso: il suo partito ha ottenuto solo il 36,9 percento dei voti, mentre il Partito del Congresso è salito al 21,4 percento. Il sistema elettorale maggioritario ha garantito a Modi la maggioranza parlamentare, ma in una coalizione più frammentata che lo costringerà a compromessi.
Il sorpasso demografico
Il 2024 segna un traguardo storico: l’India è diventata il Paese più popoloso al mondo, superando la Cina. Questo dato, che Modi ha sfruttato per rafforzare l’identità nazionale, rappresenta un’opportunità per trasformare il Paese in una potenza globale, pronta a decollare tra i grandi del mondo. Le premesse ci sono, tuttavia, le sfide restano enormi: un’istruzione non all’altezza, disuguaglianze sociali profonde e un sistema economico ancora fragile rispetto alle sue ambizioni.
Il sistema educativo e il nodo delle caste
Con il 67 percento della popolazione sotto i 35 anni, l’India è un Paese giovane. Tuttavia, il sistema educativo, che pure presenta delle eccellenze, fatica a produrre diplomati e laureati in numero sufficiente. Il peso del sistema delle caste rimane un ostacolo strutturale, che continua a condizionare il Paese. Nel 2023, un sondaggio dell’Istituto statistico nazionale ha rivelato che ben il 98 percento degli indiani si identifica ancora in una casta, con il 69 percento che ritiene di appartenere alle “caste basse”. Questo perpetua disuguaglianze che rallentano la piena valorizzazione del potenziale giovanile.
Le contraddizioni dell’economia
L’India vanta eccellenze tecnologiche e un fiorente ecosistema di startup (il Paese ha davanti solo USA e Cina per numero di startup da almeno un miliardo di dollari di fatturato!), ma il quadro economico generale rimane disomogeneo. Il 45 percento della forza lavoro è impiegato in agricoltura, che produce solo il 16 percento del PIL. Il 25 percento lavora nel manifatturiero e il 48 percento nei servizi. Inoltre, il lavoro informale rappresenta l’80 percento degli impieghi, segnale di un mercato del lavoro ancora lontano dalla stabilità necessaria per una potenza globale.
Le alleanze internazionali e la politica del “pendolo”
L’India di Modi si muove tra contraddizioni sullo scenario internazionale: è difficile dire quale sia ad oggi la prospettiva delle sue alleanze. È membro fondatore dei BRICS, ma mantiene relazioni tese con la Cina e si avvicina agli Stati Uniti attraverso il “Quad”, l’alleanza anticinese con Giappone e Australia. Questa politica “a pendolo” le consente una certa autonomia, ma la relega anche a un ruolo ambiguo tra le grandi potenze. Potenza certamente lo è e non solo nucleare: oltre alle 170 testate nucleari dichiarate il Paese si situa al primo posto mondiale anche per importazioni di armi “tradizionali”, per cui impiega quasi 87 miliardi di dollari l’anno, ovvero il 2,4 percento del PIL.
Una potenza “a sé stante”?
Modi in questi anni ha reagito a chi gli chiedeva conto di queste contraddizioni invitando a guardare all’India come a una potenza nucleare, economica e sociale “a sé stante”. Ma questo è anche uno dei motivi di sottovalutazione o di “prudenza” diplomatica che ispira sia Russia e Cina che USA, nel trattare l’India come una potenza di secondo livello. Paradossalmente i migliori rapporti l’India continua a mantenerli con l’UE e la Gran Bretagna, gli acerrimi nemici ex colonizzatori, che mantengono nei suoi confronti un rispetto dovuto ai numeri sia della popolazione che economici, considerando gli alti livelli di interscambio importazione/esportazione e la forte presenza di comunità indiane in Europa.
L’inevitabile confronto con la Cina
Nonostante il sorpasso demografico, l’India rimane lontana dalla Cina in termini economici: il suo PIL pro-capite è un quinto di quello cinese. Inoltre, il Paese ha perso il ruolo di leader del Terzo Mondo, storicamente associato all’ideologia terzomondista di Nehru, sostituito da un nazionalismo indù che limita le ambizioni internazionali. L’interlocuzione indiana ha cercato altre vie: alla COP26 di Glasgow nel 2021, da esempio, Modi ha difeso il diritto dell’India e di altri Paesi in via di sviluppo a una transizione energetica “giusta”, sottolineando la necessità di bilanciare crescita economica e sostenibilità. Questa visione potrebbe rafforzare il ruolo dell’India nel guidare i Paesi emergenti verso politiche climatiche più inclusive. Glasgow 2021 è stato forse il momento di massimo spicco per la politica di potenza della “Nuova” India.
Cinque anni per decidere il futuro
Modi ha davanti a sé anni decisivi per dimostrare che l’India può essere una potenza mondiale a tutti gli effetti. Per farlo il Paese dovrà uscire dal bozzolo ideologico autarchico che lo ha circondato e protetto in questi anni evitando che il nazionalismo diventi un freno anziché un acceleratore per le sue ambizioni. Il rischio è che una Nazione immensa con grandi potenzialità umane, sociali ed economiche possa perdere la partita della crescita e dello sviluppo, che cerca dal primo giorno della sua indipendenza, nel 1947.