Gli impatti sul business
L’instabilità del nuovo mondo
Crisi globali, mercati incerti e nuove sfide ridisegnano regole e strategie. In un mondo sempre più “TUNA” – turbolento, incerto, nuovo e ambiguo – la geopolitica diventa centrale anche per aziende e multinazionali
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pplicare la cosiddetta “neutralità” dell’osservatore di un esperimento scientifico in laboratorio alle cose della politica, e della politica internazionale, non è possibile. Le questioni ultime in gioco – pace e guerra, ordine e disordine, democrazia e autocrazia, diritti della persona – impongono a chiunque scriva di rispettare i fatti ma di non nascondere dietro a questi il senso della posta in gioco. L’anno che si chiude ci consegna la conferma di alcune tendenze cui si aggiungono nuove incognite che è necessario introdurre nell’equazione del caos mondiale.
Tendenze confermate…
Pechino prosegue imperturbabile la costruzione del proprio ruolo di prossimo egemone globale. L’ordine liberale non deve essere distrutto; basta avere la pazienza necessaria per sostituirsi a esso. Sorretta dalla demografia, da un modello sociale ordinato e gerarchico, da un sistema politico che non ammette smagliature, la Cina da trenta anni raggiunge con sistematico anticipo le tappe di sviluppo strategico che si è data tramite la propria pianificazione.
Mosca non ha più la forza per proporsi come modello alternativo di alcunché ma pratica volentieri il sabotaggio dell’ordine liberale ovunque gli convenga e vi siano delle crepe. Putin alimenta una narrativa nostalgica sull’impero di una volta ma, arsenale nucleare a parte, non è sostenuto né dalla demografia né da un sistema industriale all’altezza della competizione odierna.
Si ingrossano invece costantemente le file dei “free riders”, in Africa e nel Golfo, di coloro cioè che amano i rapporti aperti: commercio con la Cina, energia con la Russia, difesa e sicurezza con gli Stati Uniti. Quando questi ultimi sono distratti da altre vicende, Russia, Turchia o altre potenze regionali sono pronte a sostituirli. Il Global South è tuttora un insieme incoerente di rivendicazioni, di maggior spazio e considerazione, ma i BRICS nel 2024 hanno aperto le loro porte a Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati e altri.
L’Occidente – da non intendersi in senso strettamente geografico – l’Europa, gli Stati Uniti, il G7 (con Canada e Giappone) è di fatto sotto assedio. Democrazie contro autocrazie? Multilateralismo contro sovranismo e alleanze à la carte? Nelle nostre analisi abbiamo consumato tutte le parole – permacrisi, policrisi, G0, multilateralismo efficace – ma siamo stati troppo generosi verso le nostre responsabilità: double standard dei diritti in Ucraina e Medioriente, indisponibilità dei vaccini Covid per Africa e Asia (inviati invece da Russia e Cina), imperialismo climatico verso chi deve ancora accedere all’energia e svilupparsi come noi abbiamo avuto tempo di fare. E così le istituzioni multilaterali del nostro ordine sono divenute inefficaci quando non ostili.
…E fatti nuovi
Ci sono però fatti nuovi. Il 2024 riporta alla Casa Bianca Donald Trump, dopo un anno elettorale dai toni così aspri e con una società così divisa, che è più difficile oggi dispensare altrove lezioni sul valore inattaccabile della democrazia e dei suoi “check and balances”. In Europa – nella nostra seconda “patria” – parte con il margine politico più basso della sua storia la nuova Commissione Europea, alle prese con un Green Deal sotto attacco, tra ambiziosi piani climatici e il malcontento di settori industriali e di alcuni stati membri. L’Unione che aveva coltivato – con una certa ingenuità se non con supponenza – l’idea di una strategia post-industriale in un mondo globalizzato e collaborativo, si sveglia in un mondo competitivo e indisponibile ad alcuna concessione verso la “vecchia Europa”.
I rapporti Letta e Draghi rischiano seriamente di rimanere prediche nel deserto
Dopo cinque crisi esterne negli ultimi 20 anni (Lehman Brothers, migrazioni, Brexit, Covid, Ucraina) affrontate con sempre maggior efficacia e in sempre minor tempo, l’Unione deve affrontare oggi una doppia crisi interna: la fatica evidente del motore franco-tedesco, l’erosione di capacità decisionale da parte di Stati membri che non desiderano più uscire come il Regno Unito ma si oppongono a ogni integrazione ulteriore. I rapporti Letta e Draghi rischiano seriamente di rimanere prediche nel deserto. Sorprende così, anzi preoccupa, che nel dibattito pubblico, davanti a questo “me first” eletto a stile di vita (il cui corollario è che nessuno è disposto a essere “second”), in cui le regole sono considerate per principio un ingombro burocratico e la collaborazione è squalificata a prassi noiosa del politically correct, l’incendio che ci circonda e si avvicina (abbiamo omesso per brevità molte altre crisi aperte) sia vissuto quasi con sonnambulo compiacimento. Il punto di vista dello scrivente è dunque dichiarato. Vi sono pericolose assonanze con altre fasi della storia del XX secolo. E furono proprio i frutti velenosi di quel periodo, le ideologie totalitarie e le sovranità impazzite a generare dopo la guerra il bisogno di regole che fossero antidoto al ripetersi di quelle derive. La storia sembra destinata invece a ripetersi. E speriamo ovviamente di sbagliare. Se poi Taiwan diventerà la Sarajevo di questo decennio, o altri saranno gli inneschi di potenziali crisi globali questo conta meno. Il fatto è che la temperatura del pianeta (fisica e politica) continua a salire.
La geopolitica al tavolo dei board
Il disordine è però diventato un rumore di fondo. I mercati energetici ne sono un esempio quasi clamoroso. In altri tempi, la metà degli eventi cui abbiamo assistito nel 2024 avrebbe prodotto altalene impazzite sui prezzi delle commodities, sia per la paura degli operatori che per l’uso politico praticato dai detentori delle risorse. Così non è stato. Paesi produttori e aziende multinazionali – già impegnate a navigare fra sanzioni, strozzature logistiche e sabotaggi delle infrastrutture – hanno fatto di tutto con incredibile senso di responsabilità per stabilizzare l’offerta e i suoi prezzi. Investimenti di lungo termine richiedono infatti tranquillità di programmazione. Ma il mondo che abbiamo descritto, che compete con dazi e tariffe, che arma l’energia con le sanzioni, che accorcia le filiere della globalizzazione, non produce crescita sufficiente e scoraggia la domanda. È questa una importante conseguenza indiretta di un mondo più instabile che ci attende nel 2025.
Questa rivista si è occupata più volte e con profondità dei nuovi “elefanti nella stanza” dell’energia, i minerali critici della transizione e il ruolo dell’intelligenza artificiale, per citarne due. Quei due animali lì non scompaiono in un mondo disordinato; aggiungono due ulteriori variabili all’equazione del trilemma. Il nuovo mondo, definito TUNA (a proposito di animali), “turbulent, uncertain, novel, ambiguous”, obbliga sempre più i ceo ad assumere le vesti del Chief Geopolitical Executive Officer. L’anno vecchio e l’anno nuovo ci dicono questo in sintesi: la geopolitica è seduta in permanenza al tavolo dei Board.