di Davide Tabarelli
L’intelligenza artificiale mette a dura prova le società elettriche, che hanno difficoltà a garantire in tempi celeri l’enorme quantità di energia richiesta. Le Big tech, che avevano sposato le rinnovabili, ora guardano al nucleare
L
o possiamo vedere tutti quanta energia assorbe l’intelligenza artificiale, quella che, un po’ semplificata, abbiamo nei nostri telefonini, che continuamente interroghiamo con le nostre dita e da cui ci arrivano, attraverso l’elaborazione dati, risposte sempre più complesse. Dietro ci sono le reti di trasmissione dati stoccati in enormi memorie che, per essere gestite, impiegano energia elettrica. Anche noi contribuiamo ai consumi elettrici, seppur in parte infinitesimale, quando ricarichiamo la sera la nostra batteria del telefonino che, nella versione più moderna, arriva ad accumulare intorno a 20 wattora, per durare tranquillamente con un utilizzo normale tutto il giorno. Una lampadina led da 20 watt, che fa molta luce come una a incandescenza da 120 watt, in un’ora di accensione consuma 20 wattora. Per dare un ordine di grandezza, un lavaggio completo di una lavatrice o di una lavastoviglie consuma da 1000 a 2000 chilowattora.
I consumi per operazione sul nostro dispositivo sono molto contenuti, visto che lo tocchiamo fino a oltre 2000 volte al giorno, ma, dietro quello che appare sul nostro schermo, c’è un enorme traffico di dati e di loro elaborazione nei famigerati centri dati, o data center, per i quali è esplosa una frenetica corsa a nuove forniture di elettricità. La crescita esponenziale dell’elaborazione comporta più consumi per generare risultati e per raffreddare le macchine che gestiscono le memorie e le operazioni. Una semplice ricerca Google consuma, nei centri dati, 0,3 wattora, e l’esplosione di queste ricerche, come di tutte le altre operazioni legate al web, comporta una crescita altrettanto rapida dei consumi di elettricità. Una ricerca con l’intelligenza artificiale di ChatGPT, che si appoggia su una maggiore gestione di memorie e di loro elaborazione, consuma fino a 3 wattora, 10 volte quella di Google. L’intelligenza artificiale è diventata la nuova frontiera su cui investire, ma comincia a scarseggiare, un po’ a sorpresa, energia elettrica garantita.
Finora, a livello globale, i consumi di elettricità legati alla gestione dati sono stimati in circa 400 miliardi chilowattora, il 2 percento del totale, un livello superiore ai consumi italiani di 300 miliardi. Nel 2030 le previsioni indicano una crescita da 5 a 40 volte, con una quota sul totale che dovrebbe salire verso il 20 percento. Tutti questi volumi addizionali dovranno essere prodotti da impianti che devono fornire tensione e potenza, ovvero elettricità, in maniera stabile in ogni istante della giornata e non solo quando c’è vento e sole. Questa distinzione, che può sembrare banale, è importante perché tutte le 5 grandi società tecnologiche, Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp), Alphabet (Google), Amazon, Apple e Microsoft da anni hanno promesso ai loro miliardi di clienti che avrebbero consumato entro pochi anni solo elettricità da impianti a fonti rinnovabili. La loro ampia disponibilità di risorse finanziarie, dovuta ai ricchi profitti, e la loro esposizione sociale, attraverso contatti con tante persone in tutto il mondo, spiegano il loro onesto impegno sulla questione climatica. Tuttavia, le devono prima di tutto pensare ai propri azionisti e così hanno investito massicciamente nell’intelligenza artificiale; nei primi sei mesi del 2024 la stima è di quasi 100 miliardi di dollari, ma si trovano ad affrontare il problema che spesso non c’è elettricità per alimentare i centri dati.
Sono le stesse società elettriche che dichiarano che le richieste di allacciamento non possono essere soddisfatte nei tempi richiesti, non prima di qualche anno, a volte oltre il 2030, mentre chi
vi investe le vorrebbe nell’arco di qualche mese. Allora, con un po’ di imbarazzo, le Big tech sono forzate a fare accordi con chi possiede vecchie centrali, a carbone o, addirittura, nucleari. Ha un carattere quasi epico l’accordo fatto da Microsoft nel settembre 2024 con Costellation, società elettrica che possiede la centrale di Three Miles Island, un impianto nucleare dove nel marzo del 1979 avvenne un grave incidente con rilascio di radiazioni. L’incidente avvenne nel reattore due, mentre quello oggetto dell’accordo è l’uno, che è stato in funzione per altri 30 anni fino al 2019 e ora, grazie anche alla domanda dell’intelligenza artificiale, verrà ammodernato e fatto ripartire con un investimento da un miliardo e mezzo di dollari. Parte della fornitura finirà al grande centro dati che Microsoft ha nella vicina Virginia e nel frattempo entrambe le società studieranno come realizzare piccoli reattori modulari, quelli su cui si punta molto per far ripartire l’industria nucleare nel mondo.
L’iniziativa più spettacolare, però, riguarda proprio ChatGPT, o meglio, la società che l’ha inventato, la OpenAI che sta lavorando con Helion, una delle più attive start up nella fusione nucleare, la soluzione difficilissima che riproduce i meccanismi del sole sulla terra e che, a differenza del nucleare da fissione, non ha il problema delle scorie. La scelta sul nucleare muove dalla pressante esigenza di avere forniture garantite e, al contempo, rispettare gli impegni di taglio delle emissioni, cercando anche grande innovazione come quella della fusione. Una conferma del fatto che la transizione energetica passa anche per questa tecnologia, difficile, impegnativa, ma dove serve tanta intelligenza, quella umana e anche quella artificiale, per la quale le aspettative sono roboanti, anche se da verificare; ma questa è un’altra storia.