di <p>Roberto Di Giovan Paolo</p>
Croce e delizia, l’intelligenza artificiale è uno strumento ancora tutto nelle mani dell’umanità. Sta a noi decidere come usarla
O
gni volta che la tecnologia mette in campo qualcosa che assomiglia ad una “killer application” lo schema si ripete: è pro o contro l’umanità? Saremo travolti o sapremo usarla bene? Con l’intelligenza artificiale (IA) si verifica lo stesso meccanismo logico mentale, certamente con caratteristiche molto diverse e preoccupazioni più serie della macchina casalinga per il caffè espresso, in fondo anch’essa una “killer application”, ma nel campo ormai desueto della domotica, relegato alla cybernostalgia dell’immaginario futuristico degli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo.
Non vogliamo ridurre a poca cosa il dibattito che c’è intorno all’intelligenza artificiale. Tutt’altro. E non solo perché l’IA sta impattando molti settori della nostra umanità, dall’economia – per chi intravede una “bolla” di Borsa delle aziende produttrici di IA – all’agricoltura, base primaria del cibo umano e, ovviamente, perfino nelle guerre che son tornate ad essere protagoniste. Appare evidente che con l’intelligenza artificiale stiamo parlando della natura più intima dell’umanità: il suo pensiero, la sua logica, i suoi sentimenti.
Che l’intelligenza artificiale si stia molto avvicinando alla prospettiva di riprodurre meccanismi logici del pensiero umano è certamente un tema di grande valore morale e filosofico e su cui ci si si sta accapigliando in prospettiva futura, se non altro perché tutte le evoluzioni che le “case madri” impegnate nel settore stanno programmando dipendono dalla quantità di dati e soprattutto dalla qualità dei dati suddetti, che vengono immessi nei circuiti al lavoro per riprodurre, imparando da ciò che gli viene proposto. Se oggi i sistemi maggiori del mondo nel settore dichiarano di avere macchine e sistemi capaci di esprimere almeno 4-5 volte le capacità di apprendimento e rilascio rispetto a solo pochi anni fa, agli albori del primo ChatGPT, è certamente dovuto a questa imponente massa di immissione di dati. Ma esiste anche un problema “fisico” come per Internet, dove in molti dimenticano le migliaia di cavi sottomarini che circumnavigano il mondo. Anche qui parliamo di chip, terre rare per costruire i chip, geopolitica delle terre rare, che abbiamo proprio analizzato nello scorso numero di questo giornale. Così come esiste un problema relativo all’ambiente, che è ciò di cui vogliamo ragionare ora, tenendo conto del fatto che proprio in questo campo noi possiamo vedere il bene e il male possibile di questa nuova realtà. E possiamo anche comprendere come davvero sia necessario non dividerci per principio nelle categorie – divenute famose sulla scorta del lavoro di Umberto Eco – di “apocalittici” ed “integrati”.
Una delle “vexata quaestio” dell’intelligenza artificiale è certamente il suo peso sull’ambiente in un momento in cui tutto il pianeta fa i conti con il cambiamento climatico e molti settori dell’economia mondiale cercano soluzioni nuove fondate su energie pulite e innovazione. Le vicende di interi settori economici sono spesso sottoposte, alla luce di studi universitari e di fondazioni scientifiche, a rivelazioni (frutto di rilevazioni) assai contrastanti: abbiamo raccontato quanta CO2 in più hanno portato perfino gli mp3 e l’ascolto digitale della musica rispetto agli Lp in vinile e come perfino l’impegno per l’elettrico nella mobilità abbia risvolti ancora molto variegati, per così dire, sui fronti del consumo di energia e di smaltimento delle batterie elettriche.
Ebbene, questo vale anche per l’intelligenza artificiale: un’altra delle innovazioni tecnologiche in cui tutto sembra così etereo e futuristico…. ma non è esattamente così.
Se prendiamo gli Stati Uniti, in cui albergano la maggior parte delle “case madri” di intelligenza artificiale, il computo ci dice che ad oggi il loro peso sulla scala nazionale dell’uso dell’energia elettrica è del 6 per cento e si immagina che vada aumentando in maniera incrementale nei prossimi anni, con la diffusione di aziende impegnate nell’IA o che utilizzano l’IA nei loro sistemi di lavoro. In assoluto, parliamo di un utilizzo di energia elettrica pari a quella totale di Stati medi come l’Olanda o la Svizzera. Senza contare il problema – che abbiamo analizzato anche per i Cloud Center – del raffreddamento dei centri di calcolo e di approvvigionamento dati, che consumano quantità di acqua che potrebbero portare in pochi anni al collasso (o al trasferimento geografico nel più semplice dei casi). Ne consegue che una sola azienda specializzata in IA e che abbia tutta la sua filiera in un solo luogo, per esempio, diviene una produttrice di CO2 e una consumatrice di acqua ed energia di primaria importanza nella regione o città dove insiste e questo danno o costo ambientale va certamente messo sulla bilancia della convenienza economica o statuale, rispetto all’utilizzo strategico o commerciale che si farà della tecnologia.
Tutta la stampa specializzata su temi ambientali, ma anche i ricercatori e gli opinionisti impegnati sul fronte delle nuove tecnologie come, per esempio, il IA NOW Institute, hanno segnalato che certamente possiamo prendere per vero il fatto affermato dalle aziende del settore IA, ossia che proprio con l’intelligenza artificiale si stanno producendo nuovi meccanismi computazionali che riducono i tempi d’uso e dunque il bisogno di energia elettrica. Oppure che, tramite l’utilizzo di algoritmi appositi, si può raggiungere l’ottimizzazione delle procedure per ridurre l’uso di energia e, soprattutto, di acqua. Ma egualmente sono concordi nell’affermare che non esistono prove – e soprattutto risultati controllati da parti terze – di questa attività e che la trasparenza, incredibilmente considerato il campo di applicazione, è una delle cose che più manca ai produttori di IA, non solo nella costruzione dei loro modelli ma anche nella dimostrazione del loro contributo alla diminuzione dei costi ambientali. Oltretutto, proprio il Rapporto 2023 di IA NOW e l’Unesco, in un documento successivo di inizio 2024, hanno messo in guardia dal problema non solo del costo ambientale dell’intelligenza artificiale ma anche della cattiva distribuzione geografica e sociale di questi costi: non tutti i territori hanno bacini d’acqua diffusi e non tutti i territori hanno una reale uguaglianza di distribuzione energetica. Il rischio è che tanta parte del nostro futuro venga costruito in luoghi a cui proprio l’insistenza di aziende IA potrebbe precludere il futuro, consumandone paesaggio e risorse. Sarebbe certamente un paradosso, ma non così impossibile.
Poi c’è l’altra faccia della luna, lo Yin o lo Yang, ovvero cosa invece l’intelligenza artificiale fa o potrebbe fare per aiutarci a controllare il cambiamento climatico, produrre energia più pulita, eliminare la troppa CO2 prodotta. Ed anche su questo una certa letteratura scientifica ed informativa esiste e spesso è presentata correttamente dalle stesse fonti che ne spiegano le negatività: la stessa Harvard Business Review, che si interroga sui costi ambientali diseguali sul territorio, racconta al contempo che l’uso intelligente di algoritmi può insegnare all’intelligenza artificiale a distribuire l’“IA Traffic” ovvero la combinazione di data center, impegni di lavoro e di acquisizione competenze, distribuendole sul territorio in vari centri indipendentemente da dove una azienda ha una sede centrale o di calcolo. Questo determinerebbe una sorta di “federalizzazione” dei costi e dei disagi ambientali mitigandone l’impatto, geograficamente parlando, sulle comunità locali. La distribuzione di lavoro geograficamente non è l’unica relazione positiva che l’impatto di IA può avere: l’Esa, la Agenzia spaziale europea, sta testando l’intelligenza artificiale per costruire mappe di Artico ed Antartico. In questo caso l’acquisizione di dati immessa in strutture di calcolo e mappatura con l’intelligenza artificiale garantisce per l’appunto una mappatura più precisa e soprattutto in tempi rapidissimi.
Bene per chi viaggia a quelle latitudini ma anche bene per studiare e preservare il ghiaccio che tiene fresco e vivo il pianeta
Queste capacità di lettura dati, di immagazzinamento di foto ed immagini ultraveloci ovviamente permette mappature impensate e veloci in tanti campi: controllo deforestazione, controllo limiti foreste, zone di scarico rifiuti (spesso infestanti e pericolosi, come sappiamo) e zone animali nel Continente Africano. Si tratta di mappe dell’oggi ma anche e soprattutto di mappe che lavorano su previsioni del futuro, alle condizioni date. Il loro valore, che per chi ha quei dati è ovviamente incalcolabile, attiene anche alla geopolitica dell’IA. E non solo di luoghi estremi si tratta, quando l’intelligenza artificiale viene usata a favore dell’ambiente: a Londra, dopo la pandemia, esistono aziende, di cui la più conosciuta è Grey Parrot, che analizza i rifiuti, lavora sul ciclo dei rifiuti stesso e con l’Intelligenza artificiale riduce i tempi di lavorazione e riutilizzo in caso di rifiuto riciclabile.
Siamo sempre alle solite: introduzione del contesto e dei dati, velocità di analisi di un maggior numero di dati in tempi sempre più ridotti, proposta di una soluzione sempre migliorabile. Lo schema filosofico funziona per la logica e anche per l’ambiente: così, se invece che il ciclo dei rifiuti cittadini, si chiede all’Intelligenza artificiale come muoversi per il recupero dei rifiuti negli Oceani, si può tentare di costruire un modello di pulizia globale a partire da un’altra mappatura, meno piacevole ma più utile e purtroppo testimone di un problema che sta aumentando, quello delle “isole fluttuanti di rifiuti”. Abbiamo visto immagini televisive drammatiche su sorta di iceberg nell’oceano – anche in atolli incontaminati – fatte di ammassi di plastiche alla deriva. Sono un pericolo per la salute degli oceani ma anche per gli animali che vi vivono, come balene o foche onnivore e che, nel tempo, favoriscono la presenza di particelle di microplastiche che entrano prima nella pancia dei pesci e dei molluschi e infine, purtroppo, nella filiera alimentare umana.
Avere una mappatura ragionata ed immediata, inserendo dati su clima, correnti, movimenti oceanici e maree negli anni può permettere di avere un piano di pulitura degli oceani preciso e progressivo. Così come in agricoltura, su grandi estensioni è possibile mappare e produrre un piano di risemina e riforestazione che tenga conto, grazie ai dati immessi ed elaborati con l’IA, di mettere a coltura alberi nei luoghi consoni per luce e terreno, garantendone la crescita sicura negli anni a venire. Vediamo, dunque, anche con questi esempi, sia i rischi e i costi ambientali dell’IA che i benefici che l’intelligenza artificiale può portar. Nonostante ciò, continuiamo a muoverci in una linea che è per nulla deterministica. Siamo ancora in una fase in cui le tre leggi della Robotica di Isaac Asimov, grande scrittore di fantascienza ma non solo, sono ancora tutte intatte e molto, quasi tutto, è nelle mani dell’umanità. L’intelligenza artificiale, come abbiamo visto, può determinare costi ambientali notevoli ma che si possono correggere, purché si investa anche in questo e non solo nella pura parte commerciale.
E non solo: possiamo averla alleata per invertire la rotta del cambiamento climatico e dei fenomeni avversi di natura antropica come pulizia di città, oceani o boschi. Sta a noi proporre i dati giusti, su cui ragionare, intelligentemente.