Un nuovo ordine energetico
Un’alleanza asimmetrica
La partnership strategica e geopolitica tra Mosca e Pechino non è equilibrata: è la Cina di Xi Jinping ad avere il controllo della situazione, a muoversi secondo il suo interesse nazionale, anche sul piano energetico
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in dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, la Cina ha aumentato il volume del suo import di gas e petrolio da Mosca. L’energia è sempre uno dei punti di discussione più strategici durante i colloqui o i summit tra il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin. Secondo i dati pubblici delle dogane cinesi, nel corso del 2022 il 17 percento delle importazioni di greggio cinesi, per un totale di 1,7 milioni di barili al giorno, sono arrivate dalla Russia. Il greggio verso la Cina, che nel 2021 rappresentava il 31 percento delle esportazioni di Mosca, è arrivato un anno dopo al 35 percento. In una conferenza stampa a gennaio 2023 il vice primo ministro russo Alexander Novak ha detto che “nonostante le azioni dei paesi ostili e le restrizioni delle sanzioni, la produzione di petrolio nel 2022 è stata di 535 milioni di tonnellate, vale a dire 10 milioni di tonnellate in più rispetto al 2021. Anche le esportazioni sono cresciute del 7 percento”.
La Repubblica popolare cinese l’anno scorso ha aiutato il partner strategico del Cremlino anche dal punto di vista delle esportazioni di carbone, passate dal 25 al 32 percento. Ma a ben guardare i dati, l’incremento è solo cosmetico, utile alla propaganda russa e allo stesso tempo a mettere in sicurezza la filiera di approvvigionamento cinese. Perché negli anni un colosso energivoro come Pechino ha capito come diversificare le sue fonti. E infatti la Russia viene dopo l’Arabia Saudita per quanto riguarda le importazioni di petrolio e dopo l’Indonesia per quanto riguarda il carbone.
L’indebolimento economico della Cina
C’è poi un altro fattore da considerare. Nell’autunno del 2021 la Repubblica popolare cinese si è trovata di fronte a una grave carenza energetica. I blackout nelle grandi città per qualche mese sono stati all’ordine del giorno. Le fabbriche razionavano la distribuzione di energia. Le luci negli uffici si spegnevano, gli ascensori smettevano di funzionare, gli acquedotti di pompare acqua nelle abitazioni. Secondo gli analisti, a provocare l’aumento improvviso della domanda di energia sono stati vari fattori, tra i quali le riaperture post pandemia di quei paesi dipendenti dalle importazioni dalla Cina. Per far fronte alla domanda crescente, le zone industriali della Repubblica popolare cinese hanno raddoppiato la produzione – per esempio gli impianti di produzione di alluminio, di cemento e di acciaio, che hanno bisogno di molta energia. Poi però è successo qualcosa.
I funzionari di Pechino credevano che dopo l’allentamento delle restrizioni per la pandemia l’economia cinese avrebbe goduto di una accelerazione, che non c’è stata, anzi. Nei primi quattro mesi del 2023 la produzione industriale cinese è cresciuta su base annua del 5,6 percento rispetto al +10,9 percento atteso. L’indebolimento economico della Cina è così grave che perfino il leader Xi Jinping ha chiesto di “stringere i denti”. E per questo ha iniziato a importare molta meno energia del previsto: quasi due milioni di barili di petrolio al giorno in meno rispetto alle previsioni di agosto e un sesto di gas naturale in meno rispetto all'anno precedente, ha scritto il New York Times. Questo rallentamento ha contribuito a mantenere bassi i prezzi di petrolio e gas, e soprattutto fa il gioco geopolitico dell’Occidente: sebbene Pechino non abbia aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, secondo diversi osservatori il volume delle importazioni energetiche della Cina non sono sufficienti per il Cremlino per sostituire il mercato europeo. In pratica, la partnership strategica e geopolitica tra Mosca e Pechino non è equilibrata: i fatti dimostrano che è la Cina di Xi Jinping ad avere il controllo della situazione, a muoversi secondo il suo interesse nazionale, anche sul piano energetico che è la linea vitale della diplomazia russa.
Power of Siberia
Per decenni la Siberia è stata una delle aree strategiche di approvvigionamento energetico per la trasformazione della Cina nella seconda economia del mondo. Quando l’Occidente ha imposto le sanzioni contro la Russia, e il Cremlino ha deciso di spostare il focus del suo export energetico verso oriente, guardava proprio al paese che il 4 febbraio del 2021, poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina, gli aveva giurato “un’amicizia senza limiti”, cioè la Cina di Xi Jinping.
Il grande successo di Gazprom si chiama Power of Siberia, il progetto di gasdotto lanciato nel 2014 e che, a pieno regime, avrebbe portato la Russia a vendere alla Cina 38 miliardi di metri cubi (bcm) di gas all'anno, per un totale di mille bcm su un contratto trentennale, con un prezzo di vendita stimato tra i 350 e i 400 dollari per mille metri cubi. Durante l’ultima visita di Xi Jinping a Mosca, a fine marzo, Putin ha detto che è “praticamente tutto concordato” con la parte cinese sulla costruzione del Power of Siberia 2, un nuovo gasdotto che andrà dalla penisola di Yamal, nella Siberia occidentale, alla Cina.
Ma oggi Pechino non sembra avere fretta di impegnarsi per accelerare l’infrastruttura. Secondo diversi analisti, la Cina sta cercando di prolungare le negoziazioni per ottenere un contratto migliore, oppure semplicemente non vuole aumentare la sua dipendenza dal gas russo, che per ora rappresenta il 5 percento delle sue importazioni, e con il Power of Siberia 2 potrebbe arrivare a circa il 20 percento. Pechino appoggia Mosca nella sua battaglia ideologica contro l’Occidente, ma sa anche che dipendere da un solo fornitore per l’energia è un rischio politico. È una lezione che ha imparato dall’Europa.