di Moises Naim
Le enormi quantità di gas naturale liquefatto, dirottate dal mercato asiatico a quello europeo in seguito alla crisi russa, sono state in gran parte sostituite dal carbone, con un impatto negativo sull’ambiente
P
er avere una misura reale dell’impatto che la guerra in Ucraina ha avuto sui flussi di gas in tutto il mondo, vale la pena di dare uno sguardo al combustibile che proprio il gas avrebbe dovuto sostituire per sempre: il carbone.
Sebbene gli scienziati del clima abbiano a lungo sottolineato l’urgente necessità di eliminare progressivamente questo combustibile, il più inquinante al mondo, il decennio in corso ha visto un boom inaspettato (e profondamente dannoso) nella produzione di carbone. I consumatori di energia si sono ritrovati a dover sostituire l’energia nucleare (in via di estinzione) e le forniture di gas naturale (in crisi) con il carbone, il minerale per eccellenza del XIX secolo.
Ma non era così che doveva andare. All’inizio della pandemia di Covid-19, nel 2020, l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha annunciato in maniera perentoria che la domanda globale di carbone aveva raggiunto il picco nel 2014 e che l’uso del carbone nella produzione di energia elettrica l’avrebbe raggiunto con ogni probabilità entro il 2030. Si pensava, ottimisticamente, che la domanda di energia causata dalla pandemia avrebbe dato al mondo il respiro necessario per abbandonare definitivamente il carbone e passare al gas come combustibile ponte nella transizione verso le alternative rinnovabili. Ma non è andata esattamente così: la domanda globale di carbone si è attestata a 5,7 miliardi di tonnellate (BT) nel 2014 e nel 2022 la produzione ha superato gli 8 miliardi di tonnellate, il livello più alto di sempre. L’aumento dei prezzi del carbone verificatosi nel 2021 e nel 2022 ha reso la produzione di questo minerale più redditizia che mai. Gli anni 2020 ci hanno offerto un’occasione irripetibile per premere l’acceleratore sulla transizione verso l’energia pulita e invece il mondo ha deciso di insistere sul combustibile più inquinante.
La guerra in Ucraina spiega gran parte di questo cambiamento. Quando l’invasione russa dell’Ucraina ha interrotto l’accesso dell’Europa ai gasdotti, il continente si è lanciato in una frenetica corsa all’acquisto del gas liquefatto costruendo infrastrutture a velocità record e superando gli acquirenti tradizionali sui mercati spot del gas.
Quando i prezzi del gas sono saliti alle stelle e gli acquirenti tradizionali (dal Pakistan all’India, dall’Indonesia al Bangladesh) si sono visti esclusi dal mercato, si sono trovati di fronte alla necessità sostituire il gas con un combustibile in grado di alimentare stabilmente la rete elettrica, una fonte di energia capace di essere messa in funzione rapidamente per bilanciare la rete a qualsiasi ora del giorno o della notte, con la pioggia o con il sole. In altre parole, si sono rivolti al carbone, l’unica fonte in grado di tenere accese le luci all’interno di case, uffici e negozi e di far girare i macchinari all’interno delle fabbriche.
Secondo il Ministero del carbone indiano, la domanda del paese crescerà da 955 milioni di tonnellate all’anno del 2019-2020 a 1,27 miliardi di tonnellate all’anno del 2023-2024 e fino a 1,5 miliardi di tonnellate entro la fine del decennio. La Cina, dal canto suo, utilizza una quantità di carbone tre volte superiore a quella dell’India e, secondo Greenpeace, ha continuato ad approvare nuove centrali elettriche a carbone a un ritmo record fino al primo trimestre del 2023.
È comunque sorprendente che questo boom del carbone asiatico si sia verificato nonostante entrambi i paesi abbiano raggiunto una capacità di generazione di energia rinnovabile da record. Mentre l’Europa si accaparra sempre più gas naturale disponibile per mantenere stabile la propria rete elettrica, il resto del mondo risponde alla crisi dandosi da fare per produrre a modo suo più energia elettrica, sia essa pulita o sporca.
In Pakistan e in Bangladesh, l’estate del 2022 è stata segnata da dannosi blackout a causa dell’impossibilità per le aziende di fornire gas a sufficienza per far funzionare le centrali elettriche a gas esistenti. Ciò è accaduto sebbene sulla carta i loro governi avessero firmato contratti di fornitura a lungo termine per garantire l’approvvigionamento.
Nel mondo iperconnesso di oggi, le implicazioni di uno shock di approvvigionamento in una parte del sistema energetico si ripercuotono a livello mondiale e le decisioni prese in qualche punto del globo hanno effetti molto diversi in altre parti del pianeta. L’interruzione dei flussi globali di gas si manifesta direttamente nella deplorevole impennata della produzione di carbone del nostro decennio, che deve essere annoverata tra gli impatti più dannosi (e poco dibattuti) dell’invasione dell’Ucraina.