di Brahim Maarad
Il 2023 sarà un anno travagliato, in cui i leader mondiali dovranno affrontare le conseguenze degli errori commessi. Ma con un po’ di fortuna potrebbe preludere a un’era di rinnovata ricchezza e libertà
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l 2023 sarà un anno travagliato e vedrà i leader di tutto il mondo costretti ad affrontare le conseguenze degli errori commessi. Alcuni lo faranno con successo, altri meno, ma è molto probabile che ci si troverà a navigare in acque per nulla tranquille.
L’invasione dell’Ucraina è stata il più grande errore degli ultimi tempi e Vladimir Putin passerà la maggior parte del proprio mandato a cercare di gestire le conseguenze di questo fallimentare scivolone. L’impatto delle sanzioni sull’economia russa sta iniziando a farsi sentire sul serio: la carenza di chip, di componenti ad alta tecnologia e di un’ampia gamma di prodotti critici sta iniziando a ostacolare pesantemente la capacità di un’economia obsoleta di produrre anche beni e servizi di base. L’accesso al sistema finanziario internazionale è gravemente limitato. Con l’arrivo del disgelo primaverile, la mossa sensata per Putin sarà quella di cercare di mantenere congelato il conflitto onde evitare ulteriori umilianti perdite sul campo di battaglia. Ma non è affatto scontato che riesca a resistere alle pressioni degli estremisti di cui si circonda, che vogliono il lancio di un’offensiva in primavera; se lo farà, si ritroverà ancora una volta frustrato dalla sofisticatezza tecnologica delle armi occidentali e sorpreso dai crescenti disordini non solo tra il popolo russo, ma anche tra le élite a lui vicine. È un triste insieme di circostanze in cui trovarsi. E non ha nessuno da incolpare se non l’uomo che vede nello specchio.
Anche i leader europei, però, trascorreranno il 2023 impegnati a gestire gli errori del passato, in primis quelli dei paesi che versano retrospettivamente in una disastrosa dipendenza dall’energia russa. In un clima di vitalità economica gravemente indebolita dall’inflazione e dallo shock energetico, le voci politiche radicali si troveranno in un ambiente ricco di obiettivi prima delle elezioni in Grecia, Spagna, Polonia ed Estonia. Non essendovi segni di tregua nella stagnazione economica post-Brexit, la Gran Bretagna continuerà ad avere a che fare per anni con le implicazioni di quell’enorme cantonata che si è autoinflitta.
Negli Stati Uniti, le continue ricadute dell’abbuffata di spesa dell’era Covid si faranno sentire sotto forma di una breve e acuta recessione, che come sempre darà potere alle voci politiche più estreme. Con lo stallo al Congresso, Joe Biden sarà ridotto a governare attraverso ordini esecutivi, ma è probabile che i continui capovolgimenti alla Corte Suprema limiteranno l’utilità di un simile approccio. Nella seconda metà dell’anno, gli americani dovranno probabilmente affrontare l’inedita situazione di avere un candidato in corsa per la presidenza che è oggetto di accusa federale. Chi presume che ciò renderà l’ex presidente Trump non competitivo dal punto di vista elettorale potrebbe rimanere sorpreso, poiché i suoi elettori non sono tanto inclini a lasciarsi intimorire da un’accusa percepita come di parte.
Nel frattempo, in Cina, il crescente totalitarismo di Xi Jinping raggiungerà i limiti della sua efficacia, poiché la recessione del tutto inutile indotta dalla strategia Zero Covid mina la legittimità del governo del Partito Comunista. Con le proteste che si scontrano continuamente con la dura repressione della polizia, il vecchio patto sociale implicito che rappresenta il fulcro del modello di crescita cinese (io Stato offro posti di lavoro e redditi più alti, ma tu in cambio devi stare fuori dalla politica) apparirà sempre più logoro. Di certo il Partito Comunista saprà resistere, ma i vecchi giorni di pace sociale avvolti dallo sconfinato dinamismo economico inizieranno a svanire nello specchietto retrovisore della storia, mentre la Cina entra in una nuova e più burrascosa fase di sviluppo. I dibattiti su quando l’economia cinese supererà quella degli Stati Uniti diminuiranno e sembreranno meno urgenti.
Il conflitto congelato India-Pakistan rimarrà quello più pericoloso e trascurato per tutto il 2023. Il conflitto del Kashmir tra queste due potenze nucleari continuerà a rappresentare un rischio critico che, sebbene ora sia dormiente, può intensificarsi rapidamente. L’incertezza politica del Pakistan dominata dalla crescente tensione tra l’ancora influente ex primo ministro, Imran Khan, e la potente élite militare del paese è disorientata da un pericoloso compiacimento.
Nel frattempo, l’Africa rimarrà esposta agli shock dei prezzi delle materie prime, come è sempre stato, e alcuni paesi come lo Zambia e il Sud Africa rafforzeranno le proprie istituzioni democratiche, mentre altri, dal Sudan all’Uganda, viaggeranno nella direzione opposta. Fintanto che il conflitto che ribolle da tempo nell’est della Repubblica Democratica del Congo non esploderà di nuovo con una grande deflagrazione, conclusione tutt’altro che scontata, il continente dovrebbe poter considerare il 2023 come un anno con più aspetti positivi che negativi.
In America Latina, la nuova ondata di governi di centrosinistra raggiungerà sicuramente i limiti del proprio potere e ciò a cominciare dal Brasile, dove Lula cercherà di governare in qualche modo un paese che si trova di fronte a livelli estremi di polarizzazione. Con i mercati dei capitali a corto di liquidi, Messico, Argentina, Brasile, Colombia, Perù e il resto dei paesi della seconda ondata rosa dovranno affrontare la pungente delusione degli elettori che non vedranno concretizzarsi le promesse di miglioramento dello standard di vita. In Argentina ciò potrebbe vedere i peronisti perdere il potere nelle elezioni di fine anno, mentre prende piede una nuova normalità di alternanza al potere. In Brasile la questione potrebbe facilmente portare a un primo tentativo di impeachment contro Lula. E in Perù... beh, il turnover presidenziale è diventato talmente endemico che nessuno si sorprenderà nel vedere lo sfortunato e spaesato Pedro Castillo rimosso dall’incarico da un congresso esasperato dalla sua incompetenza.
Oltre alla polarizzazione paralizzante e alla brutta politica, la tendenza più importante che plasma l’America Latina è quella che le Nazioni Unite definiscono come la peggiore recessione economica dagli anni ’80, periodo tristemente ricordato come “decennio perduto”.
Nel complesso la prospettiva è lugubre, eppure vi sono alcuni punti luminosi. La Thailandia sembra destinata a fare un passo avanti per divenire di nuovo una normale democrazia funzionante, mentre si avvicina alle sue seconde elezioni generali dopo il disastroso colpo di stato del 2014. Il Giappone sembra aver finalmente spezzato la maledizione della disinflazione che ha afflitto la sua performance economica sin dagli anni ’90: il debole yen sta finalmente iniettando un po’ di vitalità nell’anemica economia giapponese. L’Ucraina sembra destinata a resistere a un inverno difficile e rimane militarmente solida nonostante l’assalto russo. E la NATO sembra più forte che mai, dopo aver riscoperto il proprio senso della missione in risposta all’aggressione russa.
Comunque sia, parliamoci chiaro: pochi ricorderanno il 2023 come un periodo di buona congiuntura. Eppure, con un po’ di fortuna, sarà ricordato come il tormentato preludio a un’era di rinnovata libertà e prosperità.