UE & Africa
Una partnership paritaria
Per creare maggiori opportunità di cooperazione, i Paesi africani dovranno considerare l’opportunità di un salto verso l’economia verde DISINVESTENDO dalle attuali pratiche non sostenibili, mentre l’Ue dovrà dare le garanzie e il sostegno necessari a tale transizione
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ata la varietà dei loro interessi e bisogni, è possibile un partenariato più forte tra paesi europei e paesi africani? Il Vertice Unione europea - Unione Africana (Ue-Ua) di fine febbraio ha dimostrato che la cooperazione tra i due continenti prosegue, ma ha espresso ancor più chiaramente la necessità di un restyling del partenariato tra Europa e Africa. In particolare, i recenti approcci alla pandemia da Covid-19 e il mancato raggiungimento dell’obiettivo dei 100 miliardi di dollari annui in finanziamenti per il clima da parte dei paesi sviluppati hanno messo ancor più duramente alla prova la fiducia dell’UA. Sono sempre più i partner (come Cina e Russia) che ricercano l’attenzione dei paesi africani: se vuole mantenere una posizione favorevole, è pertanto necessario che l’UE dimostri disponibilità all’ascolto e volontà di adoperarsi per un approccio paritario. Certo, anche i paesi africani devono mostrare volontà di impegnarsi in egual modo in questo partenariato, dando i contributi e la cooperazione reciproci necessari a un rapporto paritario.
La convergenza sullo sviluppo sostenibile
Nonostante le reciproche differenze, Ua e Ue sembrano convergere sull’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Da un lato, l’UE ha adottato il proprio Green Deal, con l’obiettivo di conseguire la neutralità carbonica entro il 2050, e gli ha dato seguito e sostegno con apposite leggi e policy. Dall’altro lato, nell’Agenda 2063 e nel Piano d’azione per la ripresa verde (con riferimento alla pandemia da Covid-19), l’Ua ha chiaramente manifestato il proprio interesse per lo sviluppo sostenibile, energia pulita e verifica climatica comprese. Eppure, i due continenti vengono da prospettive molto diverse: l’Ue è uno dei maggiori emettitori di gas serra a livello mondiale (attualmente contribuisce con il 10 percento circa), e ha dunque la responsabilità storica di decarbonizzare le proprie economie; diversamente, l’Africa contribuisce molto poco all’accumulo globale di gas serra (attualmente il suo contributo annuo è del 4 percento), ed è altamente vulnerabile agli impatti già manifesti dei cambiamenti climatici. I paesi europei lavorano per la mitigazione dei cambiamenti climatici, ma molti paesi africani sono ancora scettici sui benefici socioeconomici dell’inverdimento e della decarbonizzazione, che vedono come ostacoli allo sviluppo.
Europa e Africa hanno una lunga storia in comune, cui consegue il profondo intrecciarsi delle loro economie. Non solo l’UE e i suoi stati membri sono i maggiori donatori e investitori finanziari dell’Africa, ma ne sono anche il principale partner commerciale, assorbendo il 33 percento delle esportazioni africane con il 31 percento delle merci importate nel 2020. Le profonde trasformazioni contemplate dal Green Deal europeo e il conseguimento dello sviluppo sostenibile in entrambi i continenti avrebbero, pertanto, implicazioni importanti per il partenariato tra Europa e Africa. Sebbene né l’una né l’altra abbiano un modello di sostenibilità già testato, Europa e Africa possono scegliere di progredire insieme e co-creare un futuro sostenibile. In questo articolo si esamineranno alcune delle considerazioni chiave su come garantire un partenariato sano per la transizione verde, dalle prospettive di investimenti e assistenza, commercio e ruolo del settore energetico.
Oltre la relazione donatore-beneficiario
In qualità di principale donatore di assistenza finanziaria ufficiale, tramite le sue istituzioni, a eccezione dell’European Investment Bank (Eib), tra il 2002 e il 2019 l’Ue ha impegnato in finanziamenti ai paesi africani circa 130 miliardi di dollari, di cui circa 10 miliardi destinati a clima e ambiente (Figura 1). Al Vertice Ue-Ua, l’Europa si è impegnata a raccogliere un pacchetto di investimenti di 150 miliardi di dollari (anche tramite l’Eib, e probabilmente un terzo dedicato all’azione per il clima), a sostegno dell’Agenda 2063 e dello sviluppo sostenibile dell’Ua.
Andando avanti, si dovranno rivedere e rafforzare i processi di erogazione dei finanziamenti, per garantire un partenariato paritario. In primo luogo, le strategie d’investimento dovranno essere adeguate alle necessità di ciascun paese e progettate congiuntamente con esso. A tal proposito, le istituzioni dell’UE dovranno esser pronte a riconoscere le priorità dei beneficiari, e i paesi africani dovranno farsi decisamente più proattivi nel definire e promuovere le proprie strategie, sia in ambito bilaterale sia in contesto multilaterale. Per esempio, l’Ue ha annunciato la proposta “Verso una strategia globale con l’Africa” con largo anticipo rispetto al Vertice Ua-Ue, mossa che alcuni hanno criticato come impositiva e altri hanno invece lodato come trasparente. In secondo luogo, un partenariato è paritario quando a trarne vantaggio sono ambedue le due parti: è necessario che Ue e Ua considerino ciascuna i bisogni e le esigenze dell’altra e sviluppino strategie che consentano la creazione di posti di lavoro, la crescita economica e la transizione verde di entrambi i continenti. In terzo luogo, per andare oltre la mera relazione donatore-beneficiario, i partner dovranno gradualmente ridurre l’attenzione sugli investimenti diretti e sul trasferimento tecnologico, per concentrarsi invece sugli investimenti congiunti e sulla co-creazione di conoscenza. A tal fine si dovranno prevedere opportunità di ricerca e innovazione congiunte, quali laboratori internazionali in Africa, formazione e sviluppo delle capacità e rafforzamento dei principali istituti attuativi. Infine, è necessario dare forte sostegno al settore privato locale nei diversi paesi africani. Attualmente, i paesi africani si affidano prevalentemente agli investimenti pubblici, con gli ambienti normativi a imporre limitazioni al settore privato; anche nei paesi più favorevoli al settore privato, come il Kenya, gli investimenti privati sono per lo più di provenienza estera e non locale.
L’impatto del Green Deal sul commercio con l’Africa
L’Ue mira a decarbonizzare completamente la propria economia e a migliorare la sostenibilità della produzione; inoltre, cerca di evitare la potenziale rilocalizzazione delle emissioni di CO2 a seguito della maggior severità delle misure interne, e di garantire che i suoi consumi (dal cibo all’elettronica) rispondano a standard di sostenibilità elevati. Dal lancio del Green Deal europeo (dicembre 2019), l’Ue ha introdotto una serie di misure di sostegno e lanciato diversi appelli alla collaborazione; in particolare, ha trasposto in legge l’obiettivo della neutralità carbonica, ha sviluppato un Piano d’azione per l’economia circolare e ha avviato l’Alleanza globale per l’economia circolare e l’efficienza delle risorse (Global Alliance on Circular Economy and Resource Efficiency, Gacere), ha adottato una legge che vieta l’importazione di prodotti legati alla deforestazione (carni bovine, semi di soia, caffè, olio di palma, legname e cacao), e, più di recente, ha approvato l’introduzione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (Carbon Border Adjustment Mechanism, Cbam) che fissa il prezzo del carbonio per l’importazione di determinati prodotti (per ora, cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti ed energia elettrica).
Dati gli alti volumi di import-export (di cui sopra si sono citati solo alcuni esempi), il Green Deal europeo potrebbe avere implicazioni importanti per il commercio con i paesi africani. In primis, anche se i principali fattori trainanti della deforestazione in Africa sono l’agricoltura di sussistenza e l’uso della legna da ardere, diversi paesi africani potrebbero essere toccati dal veto dell’UE ai prodotti legati alla deforestazione. In realtà, l’Ue importa legname da diversi paesi africani (in particolare da Camerun, Costa d’Avorio, Congo, Gabon e Ghana), e soddisfa la maggior parte della propria domanda di cacao con importazioni dall’Africa (nel 2020, il 41 percento del cacao importato veniva dalla Costa d’Avorio, e anche Ghana, Nigeria e Camerun sono stati partner importanti). In secondo luogo, è dall’Africa che l’Europa importa, in grandi quantità, alcuni prodotti soggetti al meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera. Per esempio, nel 2020 Marocco ed Egitto sono stati rispettivamente il secondo e il terzo importatore di fertilizzanti verso l’UE, e tra i partner principali vi è anche l’Algeria. Sempre nel 2020, due dei principali importatori di minerali e concentrati di ferro dell’UE sono stati Sudafrica e Mauritania (con il 9 e il 3 percento rispettivamente), e tra i principali importatori di alluminio greggio figuravano Mozambico ed Egitto (con il 9 e il 2 percento rispettivamente). Le importazioni di acciaio sono meno consistenti, ma Sudafrica ed Egitto vi hanno un ruolo importante. Poiché l’Ue continua a estendere il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a rafforzare il consumo sostenibile, i paesi africani dovranno rendere ecologici i propri manufatti e tenere il passo con la domanda di prodotti più sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale.
Per creare opportunità di partenariato rafforzato, i paesi africani dovranno considerare l’opportunità di un leapfrogging verso l’economia verde e l’opportunità di disinvestire dalle attuali pratiche non sostenibili, mentre l’Ue dovrà dare le garanzie e il sostegno necessari a tale transizione. Si prospetta che, in futuro, la domanda di prodotti ecologici crescerà rapidamente, in Europa come in tutto il mondo. Per evitare attivi non recuperabili e l’inaccessibilità del mercato, i paesi africani dovranno cercare di diversificare le proprie economie con lo sviluppo di industrie verdi e la decarbonizzazione delle industrie esistenti. Queste industrie potranno creare posti di lavoro e produrre una crescita economica sostenibile dell’Africa, e portare il continente anche a conseguire gli obiettivi di consumo sostenibile fissati dall’Ue. L’integrazione dell’economia circolare tra l’Ue e i paesi africani partner potrebbe svolgere un ruolo importante in questo ambito. I due continenti potrebbero intrecciare strettamente le loro filiere produttive, assicurando un’equa creazione di valore da ambo le parti. Un’ottima piattaforma per tali future iniziative è il Gacere, tra i cui 16 membri già figurano Marocco, Ruanda e Sudafrica. È comunque necessario che l’aumento del valore aggiunto in Africa sia un tema prioritario nei partenariati per l’economia circolare, e non solo. Attualmente, le esportazioni dall’Europa all’Africa sono dominate dai manufatti (il 68 percento nel 2021), mentre le importazioni europee dall’Africa consistono prevalentemente in beni primari (il 65 percento nel 2021) (cfr. Figura 3). Aumentare la quota di manufatti esportati dall’Africa deve essere una priorità; inoltre, le risorse minerarie dell’Africa saranno molto richieste in questo mondo sempre più digitalizzato: bisogna pertanto garantire una creazione di valore equa e condizioni di lavoro dignitose e sicure.
Il ruolo del settore energetico
Il settore dell’energia avrà un ruolo particolarmente importante nella cooperazione tra UE e Africa per lo sviluppo sostenibile. A oggi, i combustibili fossili costituiscono circa il 45 percento delle importazioni europee dall’Africa. Attualmente, il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera non regola le importazioni di combustibili da fonti energetiche primarie: questo potrebbe essere un prossimo passo. Inoltre, l’impronta di carbonio dei sistemi energetici africani determina l’impronta dei prodotti fabbricati nel continente, in particolare quelli ad alta intensità energetica, e si ripercuote sul prezzo. Fattore di primaria importanza, la trasformazione del settore energetico dell’UE comporterà una forte diminuzione delle importazioni complessive di combustibili fossili e, al contempo, aumenterà la domanda di energia pulita per integrare la produzione interna. Il continente africano ha un altissimo potenziale di energie rinnovabili, un potenziale che sarebbe sufficiente non solo ad ampliare l’accesso dell’Africa all’elettricità (che deve essere una priorità, per raggiungere i 600 milioni di persone ancora senza elettricità), e ad alimentare il previsto aumento della domanda industriale e domestica di energia, ma che sarebbe sufficiente anche per generare esportazioni di energia verde. Un forte sostegno alle energie rinnovabili in Africa contribuirà alla maggior sostenibilità delle industrie locali. Per esempio, il Sudafrica sta valutando la possibilità di utilizzare l’idrogeno verde per produrre acciaio a bassa impronta di carbonio. Analogamente, il Marocco ha avviato iniziative per produrre ammoniaca verde e ridurre l’impronta di carbonio dei fertilizzanti (riducendo anche le proprie importazioni di ammoniaca); il paese, inoltre, è considerato un partner chiave per le importazioni dirette verso l’Ue di elettricità verde e di idrogeno verde, e altri paesi africani potrebbero seguirne l’esempio.
Ma l’Africa è pronta al leapfrogging verso i sistemi di energia pulita e ad unirsi alla corsa all’approvvigionamento di idrogeno verde? La mancanza di infrastrutture elettriche pienamente sviluppate e la necessità di investimenti importanti potrebbero costituire un’opportunità per costruire sin dall’inizio sistemi intelligenti pronti per le rinnovabili. Serve tuttavia una forte volontà politica e molti paesi africani, incoraggiati dalla lentezza dell’azione globale per il clima, ripongono le speranze nelle proprie risorse di combustibili fossili. Non è certo semplice rispondere alla domanda se l’Africa sia pronta a tutto questo, perché ogni paese africano è intrinsecamente diverso. Paesi come Angola e Kenya hanno già una quota relativamente alta di energie rinnovabili nella loro produzione elettrica; per contro, la produzione di elettricità di Sudafrica, Botswana, Algeria e di altri paesi ancora è dominata dai combustibili fossili. Mentre paesi come il Marocco importano la maggior parte dell’energia di cui necessitano, altri paesi, come per esempio il Sudafrica, sono esportatori netti di combustibili fossili, oppure, come Kenya e Mozambico, hanno di recente scoperto delle riserve e cercano di sfruttarle. Inoltre, l’accesso all’elettricità varia ampiamente in tutto il continente, da quasi il 100 percento nel nord a meno del 5 percento nel Sudan del Sud e nella Repubblica Centrafricana. Il panorama della necessità e l’interesse dei paesi africani per una transizione a basse emissioni di carbonio è pertanto eterogeneo, e per una transizione energetica giusta i partenariati devono tener conto dello specifico contesto di ciascun paese.
Per garantire che la transizione verso la sostenibilità sia un’opportunità e non un ostacolo al rafforzamento della cooperazione, l’Ue e i Paesi africani devono discutere di tutte le implicazioni delle misure previste e pianificare insieme un futuro sostenibile. A tal fine, devono garantire un partenariato paritario, con apprendimento e creazione di conoscenza condivisi, sistemi di economia circolare congiunti, posti di lavoro migliori e vantaggi economici maggiori per ambo le parti. Devono superare i vecchi schemi di partnership per affrontare insieme le sfide che si pongono reciprocamente e sostenere l’uno il potenziale dell’altro, riconoscendo la propria intrinseca eterogeneità e le necessità di ciascuno, nonché le implicazioni della loro lunga storia insieme.